Astarte, Andor ed Escol, rimasero perlomeno un’altra ora a parlare di tattiche e di soluzioni potenzialmente applicabili all’imminente viaggio che la compagnia avrebbe dovuto affrontare. Alla fine, decisero di riparlarne l’indomani mattina, in una riunione tattica apposita, poiché Kail aveva ancora bisogno di schiarirsi le idee, ed assorbire con calma il violento trauma che lo aveva investito e destabilizzato. D’altronde era più che comprensibile: non era certo facile apprendere che era stato allevato da colui che aveva ucciso suo padre e che, secondo una imprecisata profezia, sarebbe stato l’unico in grado di uccidere l’imperatore Arios, grazie ad un’arma magica potente e nascosta appartenente ad un ormai perduto passato. Per quanto si cercasse di aiutarlo ad accettare questo nuovo stato di cose, la maggior parte assurde per chiunque, sarebbe sempre riapparsa in un angolo della sua mente la consapevolezza di aver vissuto nella menzogna, in attesa di realizzare il suo grande e glorioso destino. Magari il giovane era già felice così, ritenendosi figlio di un grande e valoroso generale, soddisfatto della sua vita come capitano di un piccolo, anche se valoroso gruppo armato speciale e per nulla interessato al suo retaggio o alla sua eredità. Nessuno gli avrebbe mai chiesto se gli andasse di essere il nuovo imperatore, poiché sarebbe stata una domanda superflua: Kail doveva diventarlo e basta. Escol sospirò per la tristezza, concedendosi un giro per l’edificio prima di andare a ripulirsi un po’ e a prepararsi per la cena. Passeggiò dunque solitario sotto le grandi navate di solida pietra e si affacciò spesso laddove scorgeva degli ampi cortili utilizzati perlopiù come campi d’addestramento. Aveva l’animo in subbuglio e il cuore tormentato. Continuava a girarsi e rigirarsi tra le dita il ciondolo incantato di Enwel: la vera ed unica testimonianza che tutto quello che gli era capitato finora era vero e reale. Lui, un giovane soldato di un ducato lontano mezzo continente, aveva avuto l’ordine di guidare il prossimo imperatore ad assurgere tale carica. Il compito più nobile che poteva capitargli per carità, ma che lui non si era guadagnato su nessun campo di battaglia. Nessuno, lui per primo e Andor per secondo, poteva esser sicuro che ne sarebbe stato degno. Escol non capiva quindi il perché era stato scelto, ben sapendo che la prova dell’Ordine non poteva giustificare la grandezza e la portata di un compito del genere. Eppure non era per questo che si sentiva così. Non per il peso della responsabilità che una tale ordalia avrebbe comportato per lui, ma perché, a causa delle sue scelte, avrebbe potuto portare un ragazzo, confuso, disperato e solo, a perdere la vita in una missione suicida che si basava su una profezia vecchia di secoli. Escol strinse il pugno fino a sbiancare le nocche. Finora aveva fatto esattamente ciò che il suo maestro gli aveva ordinato. Aveva lasciato la sua casa, lasciato i suoi affetti, seppellito i suoi amici senza fiatare. Tuttavia adesso, prima di imbarcarsi in questa nuova impresa, pretendeva di conoscere qualcosa in più. Ora non c’erano più solo la sua vita e il suo futuro o quelli di Kail in ballo, ma quelli di migliaia di persone. Intere razze che scommettevano su di lui e il suo protetto e, a quel punto del loro cammino, il peso dell’impero non poteva più reggersi su una scommessa. Serviva la verità. Anche se scomoda. Alla fine Escol rientrò nelle sue stanze, ne approfittò per togliersi di dosso il sudiciume del viaggio e si cambiò gli abiti. Trovò qualcosa di utile negli armadi: vestiti semplici ma puliti e questo gli bastò ed avanzò per sentirsi meglio. Rinfrancato, ringraziò il soldato che era venuto ad avvisarlo che la cena era pronta e poi andò a chiamare le sue due compagne, entrambe ospiti nella camera accanto. Anche Alarien e Hilda si erano lavate e cambiate d’abito, ed erano pronte a seguirlo per andare a desinare. I tre amici scesero dunque al piano di sotto e raggiunsero tosto l’ampia sala da pranzo. Qui trovarono però solo Astarte, poiché appresero da lui che il principe Andor era rimasto nelle sue stanze a riflettere meglio su come affrontare la riunione del giorno dopo. Anche Eofaulf non era presente, ma il generale rasserenò subito il suo ospite dicendo che lo scout sarebbe tornato a disposizione della compagnia l’indomani mattina. Escol e Victor parlarono poco durante la cena e quel poco che si dissero riguardava Kail. Astarte era davvero dispiaciuto per aver deluso il suo ragazzo, ma non c’era altro modo per proteggerlo, da se stesso e dalle eventuali rivendicazioni su di lui del “maledetto”. Il figlio del Duca si mostrò d’accordo con lui, sottolineando che non avrebbe mai fatto menzione al giovane Mohdi di ciò che il suo padre adottivo aveva fatto al suo padre biologico. Non gli avrebbe mai confidato che egli l’aveva ucciso. Astarte sorrise amaro: Kail conosceva molto bene la storia, pertanto non sarebbe servito a niente omettere cose che lui già conosceva, per evitargli un ulteriore dolore. Suo figlio adesso sapeva bene che non solo egli non era il suo vero padre, ma che l’aveva sconfitto in singolar tenzone, uccidendolo senza pietà. Escol abbassò gli occhi in segno di resa. Sperava davvero che Victor avesse spalle abbastanza larghe per sopravvivere all’odio di suo figlio. Poiché c’era ben poco che lui potesse fare per togliergli quel fardello di dosso. Ci avrebbe provato ovviamente, ma sapeva bene che il dolore creato dai sentimenti, a differenza di quello generato dalle ferite fisiche, era molto più difficile da sopportare e questo valeva per entrambi, padre e figlio. Alla fine la cena terminò e Kail poté tornare nelle sue stanze, resistendo alle lusinghe di Hilda, che aveva insistito affinché potesse offrirgli la sua compagnia quella notte. Escol aveva delicatamente declinato il suo appetitoso invito, poiché purtroppo non aveva tempo per quelle cose, non ora. Inoltre, legarsi a qualcuno in quel momento, sarebbe stato tatticamente sbagliato. In caso di pericolo infatti, avrebbe potuto non pensare lucidamente e fare delle scelte dettate dal cuore e non dal cervello. Adesso doveva esistere solo la missione e la guida di Kail, tutto il resto doveva rimanere sacrificabile. Pertanto si mise a letto, spense la candela e si addormentò. In piena notte però qualcuno bussò alla sua porta. Pensando fosse Hilda, Escol sospirò: alle volte quella ragazza sapeva diventare parecchio insistente. Stava quasi per dirglielo di getto, quando aprì la porta, ma scoprì che qualcun altro era venuto a fargli visita. Si trattava di Kail. Escol gli domandò cosa fosse successo e il giovane rispose che l’aveva disturbato perché, prima di andare alla riunione tattica dell’indomani mattina, doveva fare chiarezza nella sua mente e aveva pensato di parlare con lui. Egli sembrava ossessionato dal fatto che, pur non avendolo mai visto prima, era certo di conoscerlo, come se tra loro esistesse un legame indissolubile. Escol non poteva negare di condividere con lui questa sensazione, anche se vissuta in maniera più distaccata, meno emotiva del ragazzo. Pertanto lo invitò ad entrare. Kail si sedette sull’unica sedia della stanza e iniziò a confessare tutti i suoi dubbi sulla missione, sul suo destino glorioso e sulla profezia. Escol lo lasciò sfogare poi gli disse che invero il suo prossimo futuro sarebbe stato difficile, tanto difficile. Gli disse che avrebbe dovuto iniziare a “costruirsi”, sfruttare quell’esperienza per diventare non solo un uomo, ma un “uomo bravo”. Perché era di questo che aveva bisogno davvero l’impero: una persona brava e giusta che avesse guidato la gente saggiamente, unificando i popoli e non perseguitandoli. Unendoli e non dividendoli. Escol giurò di rimanergli sempre accanto, anche durante questo viaggio interiore, aiutandolo, sorreggendolo e consigliandolo, ma sottolineò con chiarezza che sarebbe stato  però lui a dover fare l’ultimo passo su ogni cosa. Lui sarebbe stato responsabile della fioritura del suo giardino. Se avesse piantato e seguito con cura la crescita dei suoi fiori,  sarebbero venuti su forti e meravigliosi. Viceversa se avesse agito con incuria e malanimo, essi sarebbero presto sfioriti, lasciando sul campo solo decomposizione e brutture. I due si dilettarono poi a parlare di storia, argomento che in effetti Kail conosceva molto bene. In particolare discussero sulla profezia, che, secondo la leggenda, fu il “Fondatore”, un essere enigmatico di cui nessuno conosceva il vero nome e la provenienza e che l’imperatore ancora oggi temeva, a lasciare ai posteri quando sparì, ritirandosi da qualche parte chissà dove. Egli era chiamato “il Fondatore”, poiché aveva fondato l’Ordine di cui tutti in quella casa facevano parte, ma non si sapeva molto altro su di lui. Secondo i  mistici più saggi egli si incarnava periodicamente e tornava per risolvere minacce altrimenti ingestibili senza il suo intervento diretto: una specie di “deus ex machina”, evidentemente indispensabile per Eord in certe delicate fasi della sua evoluzione. Di certo lui ed Eledras, erano gli avversari che Arios temeva di più, almeno secondo quanto gli aveva detto Reward mesi prima. Il che faceva pensare, parlandone al presente, che “l’Imperatore Maledetto” non avesse mai smesso di considerarlo una minaccia reale e costante per la sua incolumità. Al di là delle congetture però, Escol promise una cosa a Kail prima di accomiatarsi da lui:  non avrebbe mai affidato la sua vita e quella del giovane Mohdi alle parole di una profezia vecchia di secoli, senza prima verificarla. Senza ragionarci meglio su. Il pugnale di Cardras, che aveva la capacità di uccidere ogni “creatura nata”, per esempio, già suggeriva diversi punti su cui riflettere. Chi diceva che Arios, che viveva ormai da molti secoli, fosse davvero una creatura nata e non creata? E se Kail avesse usato il coltello contro di lui  e questo non l’avesse ucciso? Perché poi Kail sarebbe dovuto essere davvero il “Prescelto”? Forse perché lui era l’unico tra di loro ad avere sangue reale nelle vene. Sembrava quindi più una profezia “politica” che “epica”, messa così. Insomma, la verità era che sapevano troppo poco su quella profezia per potersi affidare ad essa anima e corpo e questo, Escol lo giurò sull’anima immortale di sua madre, egli l’avrebbe fatto ben presente ai maestri dell’Ordine che l’indomani li avrebbero attesi. Se infatti avesse dovuto essere il tutore di Kail, pretendeva delle risposte, prima di imbarcarsi con lui in un viaggio senza ritorno.