Il giovane Nordhmenn raggiunse tosto il cadavere scomposto e riverso di Draven. Con il tacco dello stivale lo girò brutalmente e rimase a fissarne il volto straziato con un velo d’odio. Non provò alcuna pietà per lui, anzi, se l’avesse trovato anche con un solo anelito di vita, l’avrebbe curato con le sue pozioni soltanto per poterlo uccidere di nuovo. Però ora doveva rimanere lucido. Pertanto si chinò e lo perquisì. Trovò tre amuleti appesi al suo collo snello, sicuramente incantati e ricavati da pietre strane che lui non aveva mai visto. Su di essi erano incisi dei simboli altrettanto strani e sconosciuti. Per varie ragioni, Escol li prese tutti e tre e li ripose nello zaino, proponendosi di farli vedere a Hilda. Poi tirò fuori il coltello. Era quasi tentato di decapitare quel maledetto assassino senza scrupoli o strappargli via un occhio, come testimonianza di averlo ucciso. Poi preferì un approccio più normale e si limitò a tagliargli una ciocca di capelli. Tutto quel sangue e quei morti, tra cui la sua cara amica Vala, erano serviti per arrivare a quello. Una stramaledetta ciocca di capelli, che avrebbe dimostrato all’Asur che suo figlio era davvero morto, ucciso per sua mano come lui aveva richiesto. Il giovane Nordhmenn nascose i capelli dentro un piccolo sacchetto che aveva alla cintura, poi si alzò, maledisse l’anima di Draven per l’ultima volta e si incamminò stanco e dolorante verso la città di Alfnirka. Escol arrivò alla locanda in silenzio. Era zuppo di sangue e affranto come raramente ricordava di esser mai stato. Quando entrò, i sopravvissuti tra gli uomini di Cedric si alzarono tutti dal tavolo e andarono subito a tributargli un meritato omaggio, come combattente e come capitano. Tuttavia, il figlio del Duca non aveva voglia di festeggiamenti, tantomeno pensava di meritare dei complimenti. Anzi. Molti erano morti quel giorno e la colpa era solo sua. Abbassò subito i toni festosi di quegli uomini e si limitò a chiedere informazioni su Cedric e su Eofaulf, ricevendo per fortuna notizie confortanti in merito: entrambi si erano salvati ed erano stati curati, ed ora erano nelle loro stanze a riposare. Lo scout nella locanda e il capitano al posto di guardia, presente in città. “Perlomeno qualcosa di buono oggi è capitato…”. Pens Escol, rimuginando tra sé. Il figlio del Duca raggiunse tosto il tavolo dove Hilda ed Alarien stavano tentando di mangiare qualcosa per cena, ma quando fece dono della maschera di Vala alla maga, le lacrime ripresero a scorrere come fiumi. Nonostante la loro proverbiale antipatia reciproca, l’avvenente mezzelfa sembrava sinceramente disperata per la morte della compagna. Prese a stringere a sé quell’oggetto unico con entrambe le mani, come se la stesse abbracciando. Oggetto, che, col tempo, aveva preso a rappresentare più di ogni altra cosa la veterana in battaglia. Fiera, coraggiosa e mascherata. L’elfa invece, più composta, cercava di tirarla su, per quanto le fosse possibile. Il giovane guerriero non aggiunse alcun commento a quelli di Alarien, ma aveva un regalo anche per lei: si sfilò l’anello incantato e gliene fece dono. Le disse solo che, grazie ad esso, quando tutte le altre strategie fossero andate male, poteva rendersi invisibile e sparire da eventuali inseguitori imperiali una volta al giorno. Alarien lo ringraziò per il pensiero, poi tornò ad accudire Hilda. Escol aveva voglia di tutto fuorché di mangiare, pertanto cercò di concentrarsi su ciò che doveva fare. Mostrò dunque gli amuleti alla maga, che, anche se frastornata, non si oppose di esaminarli. Hilda gli disse subito che erano oggetti maledetti e quando allungò le mani per toccare le pietre, le dita le si gelarono all’istante. La giovane mezzelfa fu costretta a ritrarre la mano e a scuotere la testa: quegli amuleti erano molto al di là di ciò che poteva comprendere e gestire. Si scusò cone il figlio del Duca e i suoi occhi erano umidi e cerchiati di nero. Ovviamente Escol le disse di non preoccuparsi: avrebbe chiesto a qualcun altro le loro proprietà. Ora lei doveva solo riposarsi e riprendersi dallo shock della perdita. Detto questo, il giovane guerriero si accomiatò dalle sue amiche e andò in camera sua. Si spogliò finalmente di armi ed armatura e fece un bagno caldo ristoratore. Poi, prima di andare a dormire, decise di togliersi subito il dente, contattando Wizimir per riferirgli ciò che era successo in quella tragica giornata. Lo stregone rispose prontamente alla chiamata del giovane guerriero e si rammaricò parecchio quando apprese della sua grave perdita. Tuttavia riferì anche che grazie al sacrificio della sua amica, l’alleanza con il suo padrone era stata definitivamente suggellata. L’Asur infatti aveva appreso della dipartita del figlio, ed aveva parecchio apprezzato quanto Escol avesse fatto per lui. Da quel momento in poi, dava la sua parola che il loro patto non si sarebbe mai spezzato (almeno non da parte sua) e che l’avrebbe sempre aiutato, se avesse potuto. Riguardo la ciocca di capelli che aveva preso come prova, Wizimir consigliò di bruciarla immediatamente, mentre per gli amuleti suggerì di conservarli perchè sarebbero tornati utili al momento giusto. Prima di congedarlo, Escol gli mostrò infine “Enwel”, asserendo che all’interno della spada erano presenti ancora due incantesimi a lui sconosciuti e spiegò al mago che conoscerli poteva fare la differenza tra la vita e la morte. Wizimir tentò di esaminare la spada a distanza, ma non aveva i giusti strumenti per farlo, pertanto Escol la rinfoderò sperando che Hilda si riprendesse presto. Una volta che l’immagine dello stregone svanì, il figlio del Duca si abbandonò ad un sano e corroborante sonno senza sogni. Si svegliò il mattino seguente dopo che il sole era sorto già da un paio d’ore, triste ma rinfrancato. Ordinò la colazione e, oltre a quella, ricevette dall’oste una missiva. In pratica era una lettera scritta da Cedric, la quale invitava lui e i suoi compagni a recarsi nella tenuta degli Astarte, per ricevere il meritato premio che si erano ampiamente guadagnati sul campo di battaglia. Eofaulf lo raggiunse in quel momento al tavolo: aveva un braccio legato al collo, ma per il resto stava bene. Il guaritore gli aveva però imposto due giorni di assoluto riposo. Lo scout fece le più sentite condoglianze al compagno per la sua dolorosa perdita, poi però volle rivelargli un’informazione che cambiava forse ogni carta in tavola. Egli disse di essersi ricordato chi fosse quel ragazzo a capo del commando di imperiali. Egli non era altri che Kail Astarte, il figlio del generale Victor Astarte! Non conoscendo ancora la natura della missione di Escol, non riuscì ad interpetarare bene la reazione che ebbe il giovane guerriero a sentire quella notizia. Egli sembrava incredulo, quasi sconcertato. Eofaulf provò a domandare il perchè, ma Escol fu evasivo a riguardo. Disse solo che avrebbero accettato il suo invito a raggiungerlo nella tenuta del generale Astarte, perchè era quella la loro meta finale. Il fatto di sapere chi fosse quel ragazzo, lo avrebbe aiutato molto nel decidere cosa fare con lui, abbreviando molto la pratica. Lo scout lo guardò un pò perplesso, affatto sicuro di aver compreso tutto ciò che il suo compagno aveva detto. Tuttavia Escol si alzò e gli suggerì di riposare i successivi due giorni, nonostante Eofaulf avesse detto di sentirsi pronto a ripartire subito, perchè la missione non era affatto finita. In cinque giorni avrebbero passato le ultime città che ancora li dividevano dal confine dei territori degli Astarte e da lì sarebbe inziata una nuova fase della loro ordalia. Ammesso e non concesso che la compagnia avesse voluto ancora seguirlo: la cosa infatti, dopo la morte di Vala, era tuttaltro che certa. In quel tempo, il gruppo si ricompattò, ricomprò il necessario per viaggiare, frecce, cibo e abiti che si erano lacerati nello scontro e poi ripartì con il cuore gonfio di tristezza.
Capitolo 10 - Un’alleanza pagata a caro prezzo.
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- Scritto da Jack Warren
- Categoria: Eord
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