Uno strano presentimento albergava nei cuori dei nostri eroi, quando si accodarono alla compagnia di Cedric quella mattina stessa. Il giovane condottiero imperiale non voleva perdere altro tempo, soprattutto perché quello strano guerriero di nome “Theodor” e i suoi amici, avevano l’aria di essere degli avventurieri esperti e forti, molto adatti a sostenere la sua causa e non volle rischiare di sciupare la possibilità di farsi aiutare da loro. Nell’imminente scontro con gli Asura infatti, servivano “come il pane” persone del genere e, nonostante il parere discordante tra i suoi uomini, non volle rinunciare al sostegno delle loro lame solamente perché essi “andavano di fretta”. Quindi partirono di buona lena, subito dopo l’alba e in meno di un’ora di cammino arrivarono in un’aperta radura, dove il giorno prima i suoi scout avevano riferito di aver intravisto il campo di questo piccolo gruppo di sanguinosi e malvagi assassini. Essi avevano compiuto numerose razzie nei villaggi circostanti e presto avrebbero provato ad aggredire qualche piccola città. Il passo tra le due situazioni era assai breve. Vista la loro ferocia e la loro grande abilità in battaglia, Cedric era stato pertanto inviato dal generale Astarte a fermarli. Nessuno sapeva nulla su questi Asura, chi fossero e perché avessero deciso di uscire fuori dai loro confini. L’unico a conoscere qualcosa in più su di loro era Escol, che però si guardò bene di condividere queste informazioni. Sarebbe stato difficile infatti spiegare perché conoscesse il nome di uno di loro, probabilmente il loro capo e giustificare il motivo per voler rischiare la sua vita e quella dei suoi amici per dei perfetti estranei. Di certo il giovane figlio del Duca non poteva parlare dell’alleanza che gli era stata proposta dall’altro e ben più potente Asur o il fatto che avrebbe dovuto uccidere proprio il figlio di colui che aveva liberato dalle prigioni imperiali! Quindi preferì tacere, ma portava seco un peso terribile sulla sua anima. Una responsabilità gravida di minacce incombenti. Quello che si prospettava infatti era uno scontro tremendo, che avrebbe portato sicuramente ad un bagno di sangue e chi era lui per condurre ai cancelli dell’inferno i suoi compagni e altri poveri innocenti, solo per un bene che lui e non loro, riteneva più importante di ogni altra cosa? Quanto gli sarebbe costato questo “patto” con il formidabile Asur? I cupi pensieri di “Theodor/Escol” si interruppero quando una fitta nebbia calò d’improvviso sulla radura. Era talmente densa che poteva esser tagliata con un coltello. Escol guardò Cedric e gli disse di fermare subito i suoi uomini. I loro nemici erano vicini, molto vicini. Il figlio del Duca si voltò verso Hilda, chiedendole di capire se intanto quella nebbia fosse quello che lui pensava: una velatura magica, messa lì per confonderli e per regalare ai loro avversari il beneficio del primo attacco. La maga mezzelfa ci mise un attimo per confermare quella previsione. Quindi operò un “contro - incantamento” per vedere di riuscire a disperderla. Nel frattempo Escol chiese a tutti di serrare i ranghi. Lui, Eufaulf e Vala, insieme a Cedric, sarebbero rimasti innanzi a tutti, Hilda sarebbe stata in appoggio, subito dietro di lui, mentre Alarien avrebbe sfruttato i suoi talenti muovendosi nelle retrovie e scagliando frecce da lontano. I soldati di Cedric, invece, avrebbero offerto copertura e sostegno alla prima linea. Questi erano gli ordini. Quando la nebbia si disperse, rivelando almeno una dozzina di creature inquietanti, muscolose ma snelle e soprattutto armate fino ai denti, il morale degli uomini subì uno scossone piuttosto violento. Escol se ne accorse e prese subito in pugno la situazione. Si mise la maschera e poi fece una cosa che probabilmente lo salvò da morte certa: attivò d’istinto le magie sulla sua armatura, che finora non avevano mai funzionato. Quelle però dovevano essere creature “malvagie e caotiche” e questo dettaglio permise alla magia che permeava la sua “pettorina di scaglie” di attivarsi, come una specie di “faro cremisi”. Con la spada che brillava di elettricità sfrigolante e lo scudo che rimandava riflessi azzurrini, Escol sembrava davvero un demone vomitato dall’abisso stesso! Ogni suo passo veniva accompagnato da un baluginio rossastro, come una specie di eco, che lo rendeva davvero spaventoso. Questo rinfrancò un po la truppa e mise una certa apprensione nei nemici, che intuirono immediatamente che quello non era un avversario come tutti gli altri: quel tizio era interamente imbevuto di magia elfica, ed avrebbe dato filo da torcere a tutti loro, se non fossero stati attenti. Escol si fermò dopo qualche passo e gridò con voce determinata ai suoi nemici: “Io sono il “Terrore d’Argento”. Spero che la mia fama sia arrivata anche alle vostre orecchie, Asura! Sono qui per proporvi un accordo: colui che si chiama Draven mi affronterà in singolar tenzone. Chi vincerà si prenderà il proprio trofeo, ed andrà per la sua strada. Inutile spargere sangue senza motivo in questa radura, oggi.” A rispondergli fu l’unico che si trovava dietro due file di Asur schierate in assetto di battaglia e la sua replica non fu affatto tardiva o mite.“Noi siamo Asura. Siamo qui per bagnare di sangue questi falsi confini che noi non accettiamo. Non mi interessano i tuoi accordi… voglio solo ammazzarti tutti, voi, cani imperiali!" Escol provò ad insistere prima di prepararsi all’inevitabile. “E’ tuo padre che reclama il tuo sangue, Draven. Sono qui per questo. Per te, solo per te… non ho interesse a trucidare anche i tuoi compagni…” Gli Asura sghignazzarono sguaiatamente nell’udire quelle parole. Forse quel Nordhmenn fanfarone non sapeva bene con chi stesse parlando. Draven non rispose a quella provocazione, ma alzò solo la mano destra per ordinare ai suoi uomini di prepararsi all’assalto. Tutto quello che pensò Escol invece, prima di tornare tra i ranghi, fu che probabilmente erano loro che non sapevano bene chi fosse lui. Si posizionò meglio la maschera sul viso e attivò la sua spada scintillante. Quando gli Asura attaccarono, era pronto ed in attesa. Lo scontro fu cruento e terribile. Il figlio del Duca vedeva gli uomini di Cedric, ad uno ad uno, cadere come fantocci sotto gli attacchi possenti e feroci dei loro esotici avversari. Sembravano davvero dei diavoli assetati di sangue! Tuttavia egli non cedette, mietendo vittime avanti e indietro, a destra e a sinistra. Continuamente, incessantemente. Senza fermarsi mai un solo secondo. Fu colpito diverse volte, ma l’armatura incantata lo sorreggeva: davvero un incredibile strumento vincente contro caos e malvagità! Silenziosamente, il giovane Nordhmenn ringraziò la potente sacerdotessa dei Paradine per aver infuso un simile efficacissimo incantamento, all’interno dell’involucro protettivo composto da “scaglie perfette” che aveva sul petto. I nemici di Escol cadevano come foglie secche sotto i colpi precisi della sua spada, ma alla fine, prima Eofaulf e poi anche Vala, cedettero ai fendenti altrettanto mortali dei loro avversari. Il figlio del Duca, per come era posizionato sul campo di battaglia, non riuscì a rendersi conto della gravità delle loro ferite: sperava solo di raggiungere Draven il prima possibile. Quando un solo avversario lo divideva dal suo obiettivo, fu costretto però a ripiegare, perché un paio di Asura avevano sbaragliato le difese degli uomini di Cedric e adesso minacciavano le vite di Hilda ed Alarien. Anche lo stesso Cedric era eroicamente caduto nel tentativo di fermarli, ma infine, non c’era riuscito, ed era stato abbattuto. Escol continuava a gridare ordini, dando disposizioni di serrare i ranghi, di utilizzare meglio gli scudi, ma alla fine fu la sua spada incantata a dettare legge e a uccidere gli ultimi Asura, prima che potessero far male alle sue amiche. Ansante e ferito, ma ancora più che determinato, il figlio del Duca puntò dunque “Enwel” verso Draven, urlandogli di arrendersi, poiché tutti i suoi uomini erano morti e non c’era nessuno che potesse frapporsi tra loro due adesso. Draven afferrò invece la sua spada e lo sfidò apertamente. Escol ordinò a Hilda e Alarien di occuparsi di Vala ed Eofaulf, mentre, ai sopravvissuti del commando, disse di occuparsi di Cedric. Offrì loro una pozione d’ambra per aiutarlo. Pozione che i suoi uomini si guardarono bene dal giudicare con sospetto o ripugnanza imperiale. Dopo che anche lui usufruì dei benefici delle sue magiche fiale elfiche, raggiunse tosto Draven e diede inizio alle danze. Il duello si dimostrò aspro e sanguinoso: il suo avversario era forte, ed aveva parecchi oggetti magici che lo aiutavano in battaglia, ma i vantaggi che l’armatura forniva al giovane Nordhmenn, in questo caso specifico, si rivelarono determinanti. Alla fine, anche se con grande difficoltà, Draven cadde esanime e sconfitto. Tuttavia non ci fu tempo per gioire: stava succedendo o era già successo qualcosa di tragico sul campo di battaglia. Qualcosa di inatteso e orribile. Escol si tolse la maschera di scatto e rinfoderò subito la spada. Poi raggiunse di corsa le sue compagne. Quando le vide disperate, piangenti accanto al corpo di Vala, capì che il prezzo che aveva pagato quel giorno, per poter stringere quell’alleanza con l’Asur, era stato troppo alto. Eofaulf era vivo per miracolo, ma la sua amica era purtroppo morta. Uno di quegli Asura le aveva aperto in due il ventre e lei era deceduta sul colpo. Escol non riuscì a dire né a fare nulla. Rimase immobile per molti minuti ad osservarla, attonito, impotente. Intorno a lui si sentivano solo i singhiozzi strozzati di Hilda e le preghiere, cantilenate in lingua elfica, di Alarien. Quando lo shock passò, rimase solo il dolore. Un dolore indescrivibile ed incolmabile. Forse anche superiore a quello che aveva provato per la morte di Enwel. Si perchè Enwel aveva scelto di morire, ma Vala era morta per causa sua. Escol ordinò ai quattro uomini rimasti in vita di ricomporre i corpi dei loro morti e di portare subito Cedric ed Eofaulf in città, dal guaritore. Hilda ed Alarien, gli chiesero se avessero potuto rimanere con lui, ma egli bisbigliò loro affranto di andare con quegli uomini e riposare. Aveva bisogno di restare un pò da solo con Vala. Quando i sopravvissuti, pian piano, iniziarono a tornare in città, feriti, stanchi e sconvolti per aver perso amici e compagni, Escol sollevò delicatamente la sua amica da terra e poi andò a seppellirla. Rimase lì con lei fino al calar del sole, poi afferrò lo zaino di lei e le offrì in cambio il suo. Era stato un gesto stupido forse, ma in quel modo sperò di portare un pezzo di lei, della sua amica, ancora con sé in giro per Eord. Sorrise amaramente quando rammentò del giorno che le aveva regalato la maschera magica. Una vana protezione, visto che non le era servita a granché. Quando il corpo venne completamente ricoperto dalla terra, il figlio del Duca ci infilò la spada di lei come sigillo della tomba stessa. A testimonianza del fatto che Vala era lì e ci sarebbe rimasta per sempre. Poi accarezzò lievemente il terriccio umido, si tirò in piedi e, stringendosi nel mantello, fece per tornare anche lui in città. Rammentò solo all’ultimo che il suo lavoro in quella radura maledetta non era ancora finito. Il dolore gli aveva fatto infatti dimenticare il motivo per cui Vala era morta. Voltò quindi stancamente la testa verso il cadavere di Draven: doveva ancora fare una cosa con lui prima di tornare alla locanda o il sacrificio della sua amica sarebbe stato vano.
Capitolo 10 - Draven il Distruttore.
- Dettagli
- Scritto da Jack Warren
- Categoria: Eord
- Visite: 73