Il viaggio da una città all’altra durò una mezza giornata in più rispetto al solito e quando, nel primo pomeriggio, i nostri eroi entrarono in città, notarono subito due cose molto diverse rispetto alla precedente: 1) c’erano molti più legionari e 2) la città sembrava in fermento, come se si stesse preparando a qualcosa di particolarmente difficile e pesante da cui difendersi. Pesante per i cittadini, ma anche per i soldati stessi. C’era anche da dire che Alfinirka era una città più grande di Austakuto, molto più grande, quindi poteva essere possibile che fosse solo una sensazione generale, dettata dal fatto che essa fosse semplicemente meglio controllata e difesa. Tuttavia nessuno della compagnia riusciva a rimanere tranquillo e pertanto raggiunsero la locanda del Lamb & Badger. affrettando il passo il più possibile. La locanda era molto più grande dell’ultima che avevano visitato, ugualmente ben tenuta, gestita molto bene e con pietanze di qualità, da uomini e donne che parevano di chiara discendenza Nordhmenn. Escol e compagni si accomodarono e ringraziarono silenziosamente Wizimir per aver donato ad Alarien la maschera che camuffava il suo vero aspetto. All’interno della sala infatti, come era logico aspettarsi, c’erano diversi legionari intenti a desinare. In particolare, in un tavolo poco distante, c’era un gruppo di soldati imperiali che catturarono non poco l’attenzione sia del figlio del Duca che di Eofaulf. Infatti essi indossavano delle casacche verdi e non rosse, tipiche delle legioni dell’imperatore. Eppure nessuno della compagnia ebbe dubbi in merito: si trattava certamente di Legionari. Morso dalla curiosità, Escol cercò di osservarli meglio e in particolare uno di loro, tra l’altro giovanissimo, che gli sembrava avesse un volto familiare. Il figlio del Duca era consapevole di non averlo mai visto prima, ma il suo viso gli restava comunque vivido nella mente, molto presente. A differenza di Eofaulf, che invece sussurrò all’orecchio dell’amico di averlo certamente già conosciuto, ma senza ricordare bene dove. I due si guardarono per un breve istante, poi si alzarono all’unisono e andarono tosto al tavolo delle “giacche verdi”. Escol aveva sempre più la percezione di sapere chi fosse quel ragazzo, ma dopo che si ebbero presentati, anche egli sosteneva che lui avesse una faccia conosciuta e che quindi la cosa era reciproca. Il ragazzo, nonostante la giovanissima età, era capitano di un commando di legionari (ecco spiegato il diverso colore delle uniformi), che generalmente si occupavano di “missioni particolari”, un pò “sopra le righe”. Non erano stati addestrati infatti per combattere battaglie campali, ma piccole schermaglie, incursioni, estrazioni, scontri “mordi e fuggi”. Insomma per situazioni di “guerriglia” e non di “guerra”. Disse di chiamarsi Cedric Longsword e sembrava un ragazzo affabile e preparato. I due Nordhmenn purosangue parlarono un po' anche della nobile storia del cognome che il giovane soldato portava: Longsword! Un titolo antico, che si “affibbiava” a chi dimostrava, con il valore ed il coraggio, di averlo meritatamente guadagnato sul campo. Cedric ovviamente commentò che quel “cognome” l’aveva ereditato da qualcuno evidentemente molto più eroico di lui e che non avrebbe saputo nemmeno raccontare da chi e perché, talmente indietro fosse nella memoria del tempo. Ormai tutti lo conoscevano così e quell’appellativo era divenuto un cognome per lui, a tutti gli effetti. Egli serviva nell’esercito personale del generale Astarte, di cui appunto comandava un piccolo distaccamento speciale. Escol condivise giovialmente più di una birra con lui, poi, non appena ritenne di aver soddisfatto ogni sua curiosità, tornò al suo tavolo, su certe cose ancora più confuso di prima. Il generale Astarte infatti era colui che avrebbe dovuto incontrare per prendere in custodia “il prescelto” e i suoi territori non erano certo distanti da quella città. Quel ragazzo doveva avere più o meno la stessa età di Kail, ed Escol iniziò a sospettare che ci fosse altro sotto che quel giovane capitano o non sapeva o non aveva voluto rivelargli. Prima che calasse la sera, anche per districare meglio i suoi pensieri, Escol decise di farsi un giro per la città insieme a Hilda, per vedere di trovare qualcosa di interessante da comprare. In una gioielleria scovò in effetti, grazie alla maga, un anello incantato tenuto ben nascosto. Per fortuna riuscì a scoprire che quel negozio era gestito da un uomo che faceva parte anch’egli dell’Ordine. I due alla fine si misero d’accordo sul “prezzo”, dove Escol fornì al confratello alcune pozioni di guarigione e lui gli lasciò di buon grado l’anello magico, trovato per caso sul corpo di un cadavere di un elfo. Il mercante si chiamava Ivan Griffit. e il figlio del Duca fu sorpreso di vedere quanto le spire dell’Ordine, di cui faceva parte, avessero presa anche nel cuore dell’impero. Prima di andare per la sua strada, offrì però un buon consiglio a Ivan Griffit: in futuro, per la sua incolumità e quella dell’Ordine a cui apparteneva, sarebbe stato meglio non rivelarsi, senza alcuna prudenza, come aveva fatto lui pochi minuti prima. C’erano sicari imperiali dappertutto e il rischio era davvero dietro l’angolo: parlava per esperienza personale, visto che aveva quasi perso Vala per un problema del genere. Il mercante lo ringraziò per le pozioni ed i consigli, ed Escol uscì dal negozio con Hilda quasi in orario di chiusura. I due si affrettarono dunque a tornare nella locanda. Il figlio del Duca offrì l’anello alla maga, che gli promise di scoprire quale incantesimo nascondesse entro l’inizio della giornata successiva. Quindi il gruppo si riunì a tavola e mangiò, chiacchierando normalmente, sperando di non dare nell’occhio. Poi ciascuno si ritirò nelle proprie camere per la notte, ed Escol sprofondò quasi subito in un sonno profondo e senza sogni. Tuttavia, nonostante Eofaulf dormisse direttamente davanti alla porta d’entrata, il figlio del Duca percepì, dopo qualche ora, che c’era qualcuno dentro la sua stanza! Sfoderando in un baleno la spada, balzò in piedi pronto a tutto. Quando però vide chi stava uscendo da un cono d’ombra, rinfoderò tosto la sua lama incantata, capendo il perchè Eofaulf non sembrava essersi nemmeno accorto di ciò che era successo. Stava ancora dormendo e lì con lui, nella sua mente sopita, c’era Wizimir, lo stregone controverso che aveva salvato Alarien! Egli lo aveva contattato nel sonno, ed era in cerca del suo aiuto. Il suo signore infatti voleva proporgli un patto, una specie di alleanza. Se lui l’avesse aiutato con una questione delicata e spinosa, “Egli” avrebbe fatto altrettanto, qualora gli fosse servito in futuro. Escol si incuriosì ovviamente, chiedendo al mago di spiegargli cosa l’Asur voleva che facesse per suo conto. In poche parole, dieci imprudenti Asura erano penetrati nel territorio imperiale, tutti molto giovani e tutti molto stupidi. Nonostante i suoi ripetuti richiami e quelli di altri Asura “adulti”, avevano saccheggiato ed ucciso solo per il loro divertimento e questo era diventato intollerabile. “Egli” voleva che lui li fermasse, che li uccidesse. In realtà aveva chiesto di eliminare solo uno di loro, che rispondeva al nome di Draven e che era suo figlio! Escol rimase un pò contrito da questa rivelazione, ma lo sguardo di Wizimir sembrava eloquente. Inutile mettersi a disquisire di questi dettagli con il suo signore: in pochi avrebbero seguito e compreso la sua logica spietata, il suo crudele ed elaborato cinismo. Pertanto, se avesse voluto questa alleanza, questo era ciò che avrebbe dovuto fare. Escol rifletté un po ' sull'intera questione, confrontandosi anche con lo stregone. C’erano davvero poche persone in tutta Eord che potevano competere con quell’Asur, forse tre o quattro in tutto, compreso l’imperatore. Perché voleva stringere un patto così vincolante proprio con lui? E come aveva fatto l’inquisitrice a catturare un essere così potente e spedirlo in gattabuia? C’erano delle cose poco chiare in effetti in gioco, a meno che rientrassero in una trama più ampia e complessa che lui non conosceva. Magari anche l’Asur odiava l’imperatore e quello era un modo per dirglielo indirettamente. Magari egli sapeva che per incontrare proprio lui in quelle segrete avrebbe dovuto farsi catturare. Lo stregone gli sorrise, ma Escol scosse la testa: non voleva certo passare per un pazzo megalomane, accentratore di tutto, ma invero il suo rapporto con quella creatura era assai strano. Wizimir fece spallucce poi domandò al figlio del Duca se c’era un accordo tra le parti. Ovviamente Escol accettò. Probabilmente avrebbe accettato anche senza l’alleanza proposta dall’Asur. Quando aveva parlato con Cedric, egli gli aveva infatti accennato di alcuni problemi che stava riscontrando fuori città, che poi erano il motivo per cui, lui ed il suo commando, erano stati richiamati sul posto. Escol gli aveva già proposto che avrebbe potuto avvalersi del filo della sua spada se avesse voluto, ma adesso gliel’avrebbe detto apertamente. Avrebbe infatti scommesso che i dissidi di cui Cedric aveva parlato, si riferissero proprio agli Asura indigenti. Wizimir annuì e tornò nell’ombra e subito dopo Escol si svegliò di soprassalto. Mancava ancora un’ora all’alba, ed Eofaulf aveva aperto solo un occhio per controllare che tutto andasse bene. Il figlio del Duca si preparò e scese al piano di sotto. Una tenue luce illuminava la sala, dove Cedric e i suoi uomini stavano ancora parlando di tattica. Nonostante alcune comprensibili rimostranze da parte dei suoi uomini, alla fine Escol riuscì ad ottenere un ruolo in quello che avrebbe dovuto essere un agguato ad un piccolo accampamento di Asura nella foresta, poco fuori città. Cedric capì subito comunque che davanti non aveva affatto un soldato disciplinato, abituato a ricevere ordini e ad eseguirli senza discutere, ma un guerriero solitario ed esperto, spietato ed abile come pochi e che, nonostante le difficoltà di coordinamento che avrebbe avuto con lui ed i suoi uomini, la sua squadra avrebbe avuto molte più chance di sopravvivere. Quando Hilda restituì l’anello al suo amico, dicendogli che esso nascondeva un incantesimo di invisibilità, Escol rimase diversi secondi interdetto per elaborare un piano su chi avesse dovuto utilizzarlo e come. Poi decise di trattenerlo per sé per il momento. Forse in quel prossimo scontro sarebbe bastato uccidere solo Draven, evitando una strage da entrambe le parti. Per farlo, avrebbe dovuto avvalersi di ogni vantaggio possibile.