Mentre Vala e Hilda lasciarono la casa padronale del governatore per dirigersi alla locanda, Escol ed Eofaulf si recarono invece alla taverna del posto. Il locale era piccolo, ma non era una bettola: era confortevole, aveva tavoli puliti e ordinati, ed avventori che sembravano allegri ma non ubriachi. Non c’erano forti odori di vino o di alcool come in altre città che avevano visitato, solo molta disponibilità a condividere una chiacchiera ed una bevuta. Eofaulf non era convinto che quest’ultimo dettaglio bastasse, in quella specifica circostanza, ad ottenere ciò che volevano, ma quando avvicinò l’oste e poi un paio di loquaci clienti a cui offrì una pinta della miglior birra della casa, riuscì ugualmente a guadagnare informazioni utili alla causa. Sembrava infatti che un pugno di loschi figuri, dalle facce poco raccomandabili e dai modi piuttosto rudi, fossero passati per la taverna la sera prima. Questi stessi uomini erano stati poi visti aggirarsi per i vicoli della città da una ronda un paio d’ore prima dell’alba, ma non avevano notato se alla fine fossero usciti da Andreoyri o meno. I due compagni si guardarono interdetti per un breve momento, poi ringraziarono di cuore chi li aveva aiutati, lasciando una lauta mancia all’oste e un altro giro di birra a tutti, ed uscirono a passo svelto dalla taverna. Finalmente avevano una pista da seguire, anche se nessuno di coloro a cui avevano chiesto informazioni aveva saputo aiutarli di più circa le intenzioni di questi tipacci, fornendo dettagli o indizi utili allo scopo. Raggiunte le loro due amiche, sistemarono il loro equipaggiamento, poi Vala ed Eofaulf si divisero in due la città, ed iniziarono a setacciare ogni particolare o traccia del passaggio di questi uomini fuori dal perimetro della stessa. Dopo circa un’ora d’attesa, Eofaulf fu il primo a tornare, asserendo che in effetti aveva trovato indizi sospetti nella parte est della periferia di Andreoyri. Tracce freschissime di cavalli uscivano infatti da quel lato, seguendo il sentiero e proseguendo in direzione est, verso Austakuto. Quando Vala arrivò, qualche minuto più tardi, la compagnia aveva già recuperato e preparato i propri destrieri. La veterana non era stata fortunata come il suo collega, pertanto seguire quelle orme era l’unica speranza di trovare viva Lady Dana. Temendo un agguato lungo il percorso, Escol diede ordine ad Hilda di rendersi invisibile e di estendere il suo mistico manto di occultamento anche a Vala. Le donne avrebbero dunque seguito gli uomini da presso, mentre loro sarebbero rimasti esposti sul sentiero per attirarli fuori dal sottobosco. Tuttavia, molto presto Eofaulf bisbigliò al suo compagno che seguire il passaggio di quei cavalli era fin troppo facile. Probabilmente, chi aveva rapito la santa donna non aveva intenzione di aggredirli lungo la strada, ma di condurli da qualche parte. In un luogo preciso. Ad un certo punto le tracce si infilavano in una piccola macchia di alberi e, da lì a poco, in una angusta radura dove si ergeva una fattoria dall’aspetto malandato. Eofaulf fece segno col mento che le orme dei destrieri (almeno quattro) conducevano proprio lì. Escol scese da cavallo, poi diede l’ordine allo scout di controllare meglio il perimetro della struttura. Egli bisbigliò anche a Vala di seguire il compagno da invisibile per coprirgli eventualmente le spalle. Poi fece la stessa cosa con la mezzelfa, sussurrandole di rimanergli vicino a dargli supporto, se fosse stato necessario. Dunque entrò nel fatiscente stabile. Tutti gli attrezzi e gli strumenti dell’edificio erano stati rimossi, lasciando solo una grossa area vuota, in disuso e abbandonata da anni. Tuttavia al centro della spaziosa sala spiccava una figura, un’ombra quasi immobile, che lì per lì Escol non riuscì a riconoscere. Il figlio del Duca invocò il nome di Lady Dana a gran voce, ma cautamente imbracciò allo stesso tempo lo scudo e pose la mano guantata sull’elsa della spada. Quando però i suoi occhi si abituarono alla scarsa luce dell’edificio, un imponente e massiccio guerriero si voltò a guardarlo con occhi feroci, ed in quel momento Escol capì subito chi fosse. Si trattava di Reward Gare, la guardia del corpo del ricco mercante di nome Eatfrid Mar Edwas! Il figlio del Duca aveva abbandonato Eatfrid al suo nefando destino nella città di Stamstanha, lasciandolo nelle mani della temibile gilda locale. Una decisione controversa, ma che egli ritenne necessaria in quel frangente. Il giovane guerriero non riusciva a credere ai suoi occhi: era vero che Reward Gare gli aveva raccontato di esser stato un imperiale un tempo, ma non pensava che appartenesse addirittura ad una “legion d’onore”. La sua rossa armatura, ora che poteva vederla chiaramente, come Hilda gli aveva confermato da dietro le spalle, era carica di potenti incantesimi protettivi ed offensivi e solo questo “corpo d’elite” specifico si era guadagnato il diritto di indossarle. “Benvenuto Escol, “il senza onore!””. Esordì Reward Gare, senza usare mezzi termini. Escol ricambiò il saluto, sottolineando che se lui era “senza onore”, allora cos’era lui che rapiva le sacerdotesse dei Paradine solo per attirarlo in una trappola? Reward Gare sorrise amaro, riconoscendo che a mali estremi si dovevano applicare spesso estremi rimedi. Escol ghignò, deridendolo apertamente. Poi gli domandò dove avesse nascosto Lady Dana e cosa volesse da lui. “La donna è stata riaccompagnata in città nel momento in cui hai messo piede qui. Non devi temere per la sua salute. Per quel che riguarda te: guarda bene questo luogo, codardo di un Berge, perché sarà la tua tomba!” Gli gridò Reward, puntandogli contro una sorta di lunga katana affilata che teneva appoggiata sulla spalla. Escol assottigliò gli occhi, domandandogli quale fosse il motivo di tanto risentimento nei suoi confronti. “Vuoi forse conoscere il motivo della tua viltà? Hai idea di quanta sofferenza hai causato a Eatfrid per non averlo voluto aiutare?”. A quel punto Escol sfilò lentamente la spada dal fodero, poi replicò che la sua non era stata certo viltà: sul contratto che aveva firmato infatti, si diceva chiaramente che egli avrebbe potuto tirarsi indietro in qualsiasi momento, se gli interessi della sua missione personale avessero cozzato con quelli del mercante. Francamente, per come si erano messe le cose con la gilda cittadina dopo il suo rapimento, rischiare la sua vita e quella dei suoi uomini per salvare uno sconosciuto mercante, rappresentavano un motivo più che sufficiente per far valere questa postilla. “Non mi interessano le scuse. Se tu mi avessi aiutato, a questo punto Mar Edwas sarebbe ancora vivo e…..”. Escol non gli fece nemmeno finire la frase: commentò solo che egli non poteva e né doveva riversare su di lui i propri fallimenti, invitandolo solamente a combattere: aveva delle cose molto più importanti da fare che perdere tempo a discutere con un fallito. Roso dalla rabbia e dal risentimento, Reward Gare lo aggredì e ne uscì il più duro, intenso e faticoso scontro che il figlio del Duca avesse mai fatto in vita sua. Alla fine ebbe la meglio sul suo avversario, ma davvero per un soffio e grazie anche all’aiuto di Hilda, che l’aveva protetto per quanto era stata in grado di fare. L’ultimo affondo, quello che mise il punto alla vita dell’ex imperiale, era stato strano: sembrava come se il forte guerriero in armatura rossa gli avesse permesso di finirlo, abbassando la guardia. Almeno questa era la sensazione che Escol aveva avuto quando l’aveva finalmente trafitto. Egli infatti aveva pronunciato col suo ultimo alito di vita queste sibilline parole: “Questo è quello che dovrai affrontare… ed io non ero neanche uno dei migliori…”. Ricoperto di sangue, il giovane guerriero crollò al suolo in fin di vita. Si risvegliò pochi minuti più tardi dopo che Hilda gli aveva somministrato un’intera, preziosa pozione di guarigione. Eofaulf e Vala, l’aiutarono poi a rimettersi in piedi, ma gli suggerirono anche di tornare in città, perché dopo quel combattimento così tremendo, avrebbe avuto bisogno di assoluto riposo. Escol non aveva la forza di opporsi a questa decisione e si lasciò convincere a tornare alla locanda. Sulla via del ritorno, Escol e Hilda ebbero modo di parlare qualche secondo sul recente scontro tra lui e Gare e soprattutto sui poteri che la mezzelfa aveva manifestato sul piano elementale. Secondo la maga, il fulmine che aveva evocato istintivamente aveva una spiegazione chiara solo se collegato ai suoi talenti, magici per natura. Quel luogo infatti, composto interamente dai quattro elementi naturali, ed in maniera incomprensibile per la mente dei mortali, aveva probabilmente amplificato la sua forza magica, spingendola a difendersi, da quella che aveva identificato come una minaccia, con un incantesimo molto potente che ella nemmeno conosceva. Escol sentiva gli occhi chiudersi mentre la mezzelfa gli parlava da presso. L'interpretazione che aveva fornito pareva reggere, ma in quel momento non aveva un grande capacità di discernimento: era già troppo che riusciva a rimanere a cavallo. Fortunatamente arrivarono in città velocemente e lui, dolorante come mai si era sentito prima, si diresse verso la sua stanza senza nemmeno perdere un minuto. Escol diede disposizioni precise affinché nessuno lo venisse a disturbare nelle sue stanze, a meno che un esercito di Okar imbestialiti minacciasse la sopravvivenza di questa città. I suoi amici compresero la situazione ed annuirono. Tuttavia, quando il giovane guerriero entrò nella sua camera, trovò una persona ad attenderlo. Lady Dana infatti si alzò di scatto dalla sedia, sulla quale lo stava attendendo, appena lo vide sulla soglia. I due si fissarono per un breve momento. Poi la santa donna gli disse: “Intanto, grazie per avermi salvato, Escol Berge. Inoltre, ti porto un messaggio dal piano elementale: lo spirito della donna elfa che hai incontrato lì, ti invia queste poche parole: “il tradimento è stato sventato. Ora morirà per te!”. Ho ritenuto che tu le dovessi ascoltare il prima possibile… ora potrai riposare penso più sereno.” Escol annuì e la ringraziò per la solerzia. La sacerdotessa uscì quindi dalla stanza, lasciandolo di nuovo solo con i suoi pensieri e le sue considerazioni. Si tolse subito gli stivali e si sdraiò sul letto. Mettendo le dita intrecciate dietro il collo, si fermò qualche istante a rimuginare sul messaggio di Enwel, prima di lasciarsi sprofondare finalmente in un sonno ristoratore. Le sue riflessioni vertevano proprio sul “tradimento” a quanto pare appena sventato. Tutti i membri della sua compagnia avrebbero potuto avere un buon motivo per tradirlo. Dopo la tortura e il suo brutale allontanamento, Vala avrebbe potuto voltargli le spalle o esser stata irretita da Wizimir, del quale ancora non riusciva a fidarsi completamente. Eofaulf era stato un soldato dell’impero, inoltre era abbastanza rinomato di “sapere molte cose prima degli altri”: l’ultima pista in città era riuscito a trovarla quasi magicamente per esempio e non era la prima volta. Perfino Hilda poteva mentire quando aveva raccontato cosa, secondo lei, le era capitato sul piano elementale. Magari esisteva un’altra spiegazione, magari Hilda era stata scelta per essere gli occhi di “Fuoco” per un altro motivo, che non aveva nulla a che fare con il fatto che fosse predisposta per la magia. Forse la mezzelfa nascondeva qualcosa, visto che aveva seguito una banda di briganti per metà della sua vita. Perfino il governatore avrebbe potuto voltargli le spalle, se lui avesse deciso di non salvare la sua Dana, preferendo invece procedere verso la città successiva. Insomma, Escol si sentiva come se fosse seduto su un vespaio, dove, in qualunque momento, esso poteva esplodere e rilasciare migliaia di conseguenze nefande che avrebbero potuto sciamare in ogni dove e mandare in malora la sua missione. Non c’era modo di prevedere queste conseguenze, si poteva solo cercare di fare il più possibile la “cosa giusta”. Probabilmente, nel profondo del suo cuore, Escol sapeva di non aver fatto la “cosa giusta” con Reward, ma era anche vero che talvolta, se si voleva arrivare ad un obiettivo, tra l’altro così importante come il suo, si doveva fare invece ciò che era necessario. Anche se ciò che era necessario avrebbe potuto condannare a morte un uomo innocente. Con queste cupe riflessioni, Escol si addormentò e finalmente poté riposare a fondo poiché, quando riaprì gli occhi, l'alba di un nuovo giorno era appena spuntata. Ancora dolorante, il figlio del Duca si mise in piedi, ma prima che potesse scendere a mangiare qualcosa, notò che la pietra nera che aveva nel taschino aveva iniziato a scaldarsi in maniera anomala: Wizimir stava tentando di mettersi in comunicazione con lui! Questa volta il mago non era solo: c’era anche l’Asur con lui. L’inquietante creatura tatuata e dagli occhi cremisi sfrigolanti, teneva per le spalle l’inquisitrice, letteralmente scrnificata su larga parte del viso. Qualche metro indietro, Escol riuscì a scorgere Alarien, di nuovo libera come “Egli” aveva promesso. Lo sguardo dell’Asur era feroce e il ghigno che aveva stampato sulla mascella non lasciava adito a dubbi riguardo il gusto sadico che ci aveva messo dentro nel torturare crudelmente la femmina umana che aveva osato imprigionarlo. Il figlio del Duca non riuscì a provare pietà per lei, nemmeno quando l’oscuro essere le spezzò il collo con un unico, secco movimento. Per quanto riguarda Alarien, l’elfa disse di stare bene adesso. Sembrava spossata e sfinita oltre ogni umana comprensione, perché aveva subito anche lei delle torture indicibili, ma era viva: Wizimir e l’Asur l’avevano ristabilita, per quanto la magia lo rendesse possibile. “Ora il mio debito con te, Escol Berge, è stato estinto. L’elfa è libera e noi due… finalmente… siamo pari.” Concluse senza mezzi termini l’Asur. Escol annuì, ma domandò alla creatura tatuata se poteva azzardare di porgli un’ultima domanda. L’Asur acconsentì alla sua richiesta, ed Escol gli chiese perché mai avesse spedito nella dimensione elementale la sua amica mezzelfa (e di conseguenza anche lui). “Relazioni diplomatiche…”. Rispose laconicamente l’oscura creatura. Il figlio del Duca ammiccò, ma era stata una reazione ironica la sua: era ovvio che non credeva affatto alle sue parole. Almeno non completamente. Quando notò però la reazione di Hilda, che era apparsa all’improvviso sulla porta quasi fosse invasata, capì che egli non gli stava mentendo. La mezzelfa infatti aveva mutato quasi completamente aspetto, con gli occhi e i capelli che parevano adesso “arsi da una fiamma vivida”! Dalla reazione di “Fuoco”, dentro di lei, Escol ebbe conferma che si trattava di argomenti ben al di là della sua comprensione e dunque tacque, evitando di chiedere ulteriori spiegazioni ad un essere tanto alieno quanto poco propenso alla chiacchiera come l’Asur. “Egli” e Hilda rimasero in silenzio a fissarsi per qualche secondo, poi il figlio del Duca interruppe qualunque cosa stessero facendo e lo ringraziò per aver mantenuto la parola data. I due si accomiatarono pacificamente, ma prima di andare, l’Asur si voltò leggermente verso di lui e sussurrò: “Un giorno tu ci cercherai, tramite lei potrai trovarci…”. Non potendo certo indovinare cosa significasse appieno quella specie di profezia, Escol si limitò ad annuire. Prima di salutarsi con Wizimir, il figlio del Duca richiese ancora una volta il suo aiuto: il mago si trovava poco lontano la città di Austakuto, dunque lo pregò di accompagnare Alarien in città, nascondendola da occhi e orecchi sospettosi. Lui e i suoi amici li avrebbero raggiunti entro un paio di giorni e lui sarebbe ben volentieri diventato debitore di un favore, quando lo stregone ne avesse avuto bisogno. Così si concluse la permanenza della compagnia nella città di Andreoyri. Alcune cose erano state sistemate, ma altre dovevano ancora esserlo. Infatti come avrebbero potuto risolvere il problema della presenza di Alarien nella compagnia?
Capitolo 9 - Una resa dei conti inaspettata.
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- Scritto da Jack Warren
- Categoria: Eord
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