Dopo un lungo peregrinare, attraverso un’infinita distesa erbosa che apparentemente sembrava non portasse da nessuna parte, Samar condusse infine Escol innanzi ad una gigantesca fortezza. Essa pareva esser apparsa dal nulla, come quando un miraggio pian piano si materializzava davanti agli occhi stanchi di uno sfinito viaggiatore, a causa del sole e della insopportabile arsura. Questa esperienza riuscì solamente a render ancor più perplesso il già provato giovane guerriero. Notando il suo bieco cipiglio, il felino spiegò al figlio del Duca che all’interno di quella costruzione, che egli “avrebbe dovuto adesso percepire come materiale”, vivevano e regnavano gli elementali del fuoco, con cui egli avrebbe dovuto confrontarsi per aver indietro la sua amica mezzelfa. Escol aggrottò le sopracciglia udendo quelle strane parole, ma non disse nulla, limitandosi ad annuire stancamente e a muoversi coraggiosamente e meccanicamente verso di essa. C’era qualcosa di strano in questa aliena dimensione, qualcosa che lo rendeva fiacco solamente a notare le cose intorno a lui. Come se il suo cervello fosse costretto a lavorare di più per elaborare ciò che vedeva. Samar gli ribadì comunque che egli sarebbe rimasto  fuori dalla fortezza, in attesa del suo ritorno. Escol voltò solo per un attimo il capo verso di lui, poi tornò a guardare le imponenti e svettanti porte di ferro dell’enorme bastione, che però stranamente erano spalancate ed incustodite. Non c’erano infatti guardie all’entrata, né nessuna apparente misura di sicurezza per chi, come lui, stava varcando senza invito l’uscio dell'edificio. Tuttavia, all’interno la fortezza non era affatto priva di vita. Escol notò subito infatti ogni tipo di creatura, strana ed esotica, di cui lui avesse mai letto nei libri delle favole che sua madre gli raccontava quando era bambino: unicorni bianchi, uomini gatto parlanti, ed esseri che assomigliavano in maniera inquietante a delle sibilanti lucertole, erano solo alcuni dei bislacchi individui che egli notò mentre muoveva i primi passi nella struttura. Perfino un piccolo drago si agitava pigramente in un angolo, intento a far valere le sue ragioni nei confronti di uno strano essere antropomorfo dal vago aspetto di un pesce. Sempre più strabiliato, Escol continuava a camminare nello smisurato cortile della fortezza, guardandosi intorno con la bocca spalancata. Nessuno faceva caso a lui e questo fatto non sapeva se interpretarlo in maniera positiva o negativa. Finché, un essere dalla pelle blu, all’apparenza umanoide, ma con una coda guizzante che gli spuntava da sotto il coccige, lo intercettò, gli fece un lieve inchino e disse: “Voi signore, dovete essere Escol.” Il giovane guerriero annuì, un po' sorpreso. “Io sono Aemaer e sono la vostra guida qui, nella nostra casa…” Continuò lo strano figuro, compiendo un movimento circolare con le mani per enfatizzare ad Escol ciò che li circondava. Il figlio del Duca riuscì solo a balbettare, un pò causticamente, che era una strana coincidenza che egli portasse lo stesso nome di un suo caro amico Nordhmenn, con cui aveva interrotto il cammino qualche settimana prima. “Si, ho scelto questo perché ho pensato di poter creare più facilmente empatia tra noi. Il mio vero nome sarebbe impronunciabile per te, Escol di Berge. Tutto ciò che vedi è stato “costruito” e predisposto per la tua persona, prelevando alcuni ricordi dalla tua mente, affinché tu possa avere alcuni punti di riferimento per comprendere e prendere posto nella nostra dimensione. Altrimenti perderesti certamente il senno. Vieni, da questa parte.” Escol ascoltò attentamente le parole di Aemaer ed iniziò a capire. Dana non aveva solo aperto un varco tra le dimensioni, ma aveva anche annunciato alle creature elementali il suo arrivo. Egli dunque era atteso, non solo da Samar, ma anche dagli stessi dominatori di questo piano. Essi infatti dovevano aver accettato la richiesta della sacerdotessa e adesso lo stavano attendendo. Tutto ciò che vedeva, che percepiva intorno a lui, dunque, non era altro che un costrutto, una rappresentazione o forse una rielaborazione dei suoi ricordi, atta a permettergli di capire dove fosse e cosa dovesse fare. Queste creature, non basavano la comprensione della realtà sui propri sensi e quindi tutto ciò che lo circondava, che vedeva e sentiva, esisteva solo per il suo personale beneficio. Tutto ciò lo rincuorò: se avevano usato tali accortezze, probabilmente erano esseri illuminati, con cui si poteva certamente ragionare. Neanche terminò questa riflessione, che Aemaer lo rassicurò subito sullo stato di salute di Hilda, mostrandogli una visione di una stanza, dalle pareti in pietra e munita di letto, tavolo e perfino uno scaffale pieno di libri, che ospitava la mezzelfa: affranta, triste, ma nel complesso illesa. Queste immagini confortarono subito Escol, che domandò ad Aemaer il perché Hilda fosse tenuta prigioniera. “L’elementale dell’acqua”, perchè così si autodefinì, rispose di portare pazienza qualche altro minuto: tra poco avrebbe incontrato il “sovrano” della fortezza e lui gli avrebbe spiegato ogni cosa. Ovviamente Aemaer aveva semplificato al massimo la questione per il suo ospite umano, ma Escol non aggiunse altro e quindi i due attraversarono infine l’immenso atrio (l’intero suo maniero poteva starci comodo dentro), ed entrarono in una delle molteplici ali dell’edificio. Dopo lungo girovagare attraverso le grandi sale aperte sullo stile dei Nordhmenn, il figlio del Duca si ritrovò finalmente in un'altra stanza molto ampia, nel cui centro svettava un grande trono, sul quale era “seduto” un essere fatto interamente di fuoco! Il calore del suo corpo poteva esser percepito anche da molti metri di distanza. Escol domandò alla sua guida il nome di quell’incredibile creatura, ma Aemaer lo definì soltanto come: “fratello Fuoco”. L’elementale dell’acqua scortò Escol quanto più vicino possibile al suo sovrano, poi si fermò notando che il figlio del Duca cominciava a soffrire l’intenso calore che quell’essere straordinario emanava. Il giovane guerriero fece un bel respiro e poi si inchinò solennemente. “Tu devi essere Escol, dunque. So che sei venuto a reclamare la mortale che teniamo in custodia. Sappi dunque che ella si è macchiata di due grosse trasgressioni, che potrebbero costarle molto caro, secondo le nostre usanze. Tuttavia, riteniamo che la vita sia sacra, anche quella di un semplice mortale e ti daremo la possibilità di perorare la sua causa, di difenderla, se è questo che desideri.” Escol ovviamente accettò l’offerta di “Fuoco”, sottolineando però quanto Hilda fosse una creatura di indole buona. Anche rispetto a lui stesso. Quali trasgressioni poteva dunque aver compiuto, che rischiavano forse di farle perdere addirittura la vita stessa? “Fuoco” rispose prontamente. La sua voce era profonda, ma al tempo stesso estremamente chiara e limpida. “La prima accusa è di esser arrivata su questo piano senza alcun invito. Nessun mortale può varcare i cancelli del regno elementale: è così dall’alba dei tempi e così dovrà essere fin quando il creato cesserà di esistere. La seconda è di aver aggredito senza alcun motivo uno dei nostri fratelli.” Escol roteò gli occhi. Perchè diavolo Hilda doveva essere sempre così dannatamente impulsiva? Mettendo le mani avanti, egli sostenne che sulla prima accusa aveva ragioni molte solide per dimostrare che era stato uno sfortunato incidente, ben al di là della sua volontà, a scaraventarla qui, nella loro dimensione. Sulla seconda invece non negava, conoscendo molto bene la sua amica, che ella avrebbe potuto reagire istintivamente, scambiando la mano tesa di un amico per un tentativo di aggressione. Tuttavia, anche se avesse davvero compiuto un atto di violenza ingiustificata, lo aveva fatto per paura e non certo per crudeltà. “Fuoco” ascoltò le concitate parole pronunciate da Escol, poi sentenziò: “Molto bene, Escol di Berge. Un nostro fratello ti accompagnerà in una “stanza” dove potrai riposare. Domani, come direste voi mortali, io e i miei fratelli giudicheremo se le tue ragioni saranno sufficienti per scagionare la mortale oppure no. Sceglierai dunque la spada o la parola per difenderla?” Escol non era sicuro di aver compreso quella domanda, ma tenendo conto di quel che aveva capito di quel posto, immaginava che quegli esseri, leggendo così bene nella sua testa, evidenziando le sue esperienze, i suoi ricordi, avevano notato che lui aveva risolto molti contenziosi con l’uso della spada. Quindi avrebbero potuto presumibilmente pensare che avrebbe potuto desiderare di farlo anche in questo caso. Tuttavia Escol sperava che da quell’incontro, più unico che raro, quelle creature eteree, aliene e così superiori, si facessero un’idea più precisa di come ragionavano i mortali. Del modo diverso con cui utilizzavano a volte la violenza e a volte la diplomazia. Scelse dunque la parola, seguendo saggiamente il consiglio che gli aveva dato Samar qualche ora prima. Quindi “Fuoco” lo congedò, ed Aemaer lo accompagnò dunque in una stanza molto simile a quella che era stata assegnata a Hilda. Prima di separarsi da lui, il figlio del Duca domandò all’elementale dell’acqua se poteva fargli una grande cortesia. Chiese se egli potesse recarsi dalla sua amica mezzelfa per comunicarle che lui era qui, che quindi non era più sola e che presto l'avrebbe tirata fuori dai guai. In questo modo, Aemaer avrebbe sicuramente dato speranza ad un’anima sofferente e avrebbe visto “con i suoi occhi” la sua reazione, che, quasi certamente gli avrebbe mostrato quale fosse la sua vera natura, quando la paura e la disperazione erano lontane dal suo cuore. Questa volta sembrava l’elementale dell’acqua non troppo sicuro di aver capito le parole del suo ospite, ma Escol lo pregò di fidarsi di lui e dunque l’elementale accolse la sua richiesta e se ne andò. Quando l’elementale sparì letteralmente dalla sua vista, Escol sospirò. Era molto stanco, troppo per quello che aveva realmente fatto quel giorno: quella dannata dimensione immateriale lo stava pian piano consumando. Si passò le mani sul viso, desideroso di avvicinare il letto e riposare qualche ora, ma scelse di non farlo. Non ancora. Nel suo cuore albergava davvero il desiderio di mostrare a questi esseri, sicuramente superiori, ma del tutto alieni, quale fosse la vera natura degli uomini. Quali fossero i criteri che li spingevano a socializzare, a combattere, ad uccidere e ad amare. Concetti che per loro, creature del tutto neutrali, erano praticamente incomprensibili. Non soltanto per il destino di Hilda, ma per quello di tutta la specie umana, così fragile ma al tempo stesso anche così perseverante nei propri intenti. L’unico modo che gli venne in mente per realizzare una cosa del genere, fu di raccontare la sua storia. La sua storia personale, da quando era piccolo fino al giorno odierno: un giorno in cui il destino stesso di Eord si reggeva sul successo o meno delle sue azioni, della sua volontà. Cercò dunque di essere conciso, ma esaustivo. Tuttavia, quando levò la penna dalla pergamena, che “stranamente” aveva trovato, comparsa dal nulla, sulla scrivania accanto allo scaffale con i libri, erano passate “molte ore”. Quando si alzò, ricomponendo meglio i fogli su cui aveva scritto le sue memorie, gli si chiudevano gli occhi. Inarcò dunque la schiena e letteralmente sprofondò nel soffice letto che era dietro di lui ad attenderlo. Sperò solo di riuscire a dormire qualche ora prima del giudizio di “Fuoco”, ma le sorprese non erano ancora finite per lui quel giorno.