Escol ed Eofaulf indossarono in fretta e furia le livree dei soldati imperiali mentre passavano da vicolo in vicolo, stando bene attenti a non farsi notare da nessuno. Fortunatamente l’ora era tarda e c’erano ben poche persone in giro. Hilda procedeva dietro di loro, silenziosa ma vigile. Giunti in prossimità della cittadella, il figlio del Duca le fece un segno d’intesa con il capo, poi si voltò e, annuendo verso Eofaulf, uscì spavaldamente allo scoperto. La pesante cappa che portava sopra la sua tunica da legionario aveva per fortuna un cappuccio e, dato il freddo intenso e il buio pesto, il fatto che entrambi avessero il volto coperto, cosa vietata da un preciso editto imperiale, non destò particolari sospetti alle due sentinelle all’entrata. Tuttavia, l’improvvisa ed inaspettata visita da parte di due “stanziali” alla cittadella, li mise ugualmente sul “chi vive”, spingendoli ad intimare loro “l’alt” e a pretendere subito la parola d’ordine. Escol prontamente gliela fornì, senza alcuna esitazione, riuscendo così a farli rilassare un poco. Poi le guardie domandarono il motivo per cui stavano richiedendo di entrare nella struttura, ed il figlio del Duca a quel punto improvvisò, sostenendo che l’ufficiale di riferimento aveva mandato a chiamare lui ed il soldato del turno successivo, perché uno dei legionari di guardia ai sotterranei si era sentito male, pertanto erano stati entrambi richiamati per sostituirlo. Le sentinelle sembravano un pò perplesse riguardo la storia raccontata da Escol, visto che non erano state affatto informate di questa sostituzione, ma quando il giovane guerriero, fingendo un sonoro sbadiglio, disse loro che sarebbe stato lieto di tornarsene a letto e lasciare a loro due l’incombenza di spiegare all’ufficiale che non gli era stato permesso entrare per svolgere il proprio lavoro, le guardie si convinsero e li lasciarono passare. Il figlio del Duca gettò per un secondo fugace l’occhio dietro di lui, notando che Hilda si era resa già invisibile e attraversò quindi la soglia molto lentamente, dando alla mezzelfa il tempo di passare oltre, insieme a loro, prima che i soldati sbarrassero di nuovo l’entrata con le loro lunghe lance. Entrambi sospirarono di sollievo, quando alfine si ritrovarono dentro la cittadella vivi ed incolumi. Il cortile esterno era gremito di legionari, che si erano accampati con delle ampie tende, occupando quasi ogni spazio disponibile. Molti fuochi erano stati accesi, ed illuminavano più che sufficientemente l’intera area, ed Escol ebbe un momento di esitazione quando comprese il rischio che avrebbero corso se qualcosa fosse andato storto. Eofaulf lo tirò per un braccio sotto alcune colonne in marmo bianco, conducendolo fino ad un atrio, che apriva su una piccola navata che portava verso il basso. Qui, le sentinelle non fecero obiezioni quando Escol raccontò loro la stessa storiella che aveva con molta più difficoltà fatto passare per buona all'entrata e dunque permisero ai due amici di scendere le scale per accedere ai sotterranei dell’edificio. Il giovane guerriero non lo fece con il cuore sollevato, poiché da quel momento in poi Hilda sarebbe stata da sola. Tuttavia non c’era altra scelta: bisognava attenersi al piano e sperare che tutto andasse bene. Prima di poter arrivare alle prigioni, il giovane guerriero dovette innaffiare qualche gola di brandy e condividere parecchio tabacco delle sue scorte personali, fingendo di non essere affatto felice di trovarsi lì per un doppio turno, ma che si era disposti a tutto pur di servire l’impero. I soldati non fecero obiezioni, né per accettare liquore e fumo, né per la loro inusuale presenza laggiù e quando Escol entrò nel lungo corridoio dove, secondo Eofaulf, erano tenuti i prigionieri, nessuno sembrava essersi insospettito sui suoi intenti. Solo due celle erano piantonate, distanti l’una dall’altra circa otto metri. Secondo il ranger, Alarien era tenuta prigioniera in quella più vicina alla porta d’entrata. Nella seconda, avrebbe dovuto esserci il misterioso figuro che l’Inquisitrice aveva catturato e, a quanto pareva, tenuto costantemente sotto stretta sorveglianza. Se tutto fosse andato secondo i programmi, i due amici avrebbero presto scoperto perché la “dama rossa” lo teneva segregato in quel modo e se l’intuizione di Escol su di lui fosse stata giusta o meno. Il figlio del Duca aveva nascosto la maschera d’argento preventivamente tra le pieghe del mantello. Quando si avvicinò ai due soldati, provò dapprima a vedere se fosse stato possibile non combattere contro loro, utilizzando solamente il suo proverbiale “charme”. Tentò col dire, nella maniera più affascinante che conosceva, che l’ufficiale di riferimento aveva ordinato una sostituzione improvvisa, ma le sentinelle sembravano piuttosto scettiche a riguardo. Iniziarono inoltre a guardarsi tra di loro, a dire il vero anche un pò preoccupate. Tuttavia esse rimasero caparbiamente al loro posto, non cedendo all’insistenza del giovane guerriero nel far loro accettare quella spiegazione, per poi andarsene pacificamente. Costretto quindi ad agire diversamente, Escol indossò la sua inquietante maschera e pronunciò la parola magica di attivazione del suo mistico equipaggiamento. “Enwel”: la “parola incantata” che l’avrebbe trasformato nel “Terrore d’Argento”! Dunque adesso si sarebbe mosso verso un approccio basato su una “minacciosa diplomazia”. I soldati sembravano impazziti di paura alla vista del “Terrore d’Argento”, ed obbedirono immediatamente ai suoi ordini: gettarono le armi, aprirono la cella, ed entrarono per primi nella stanza, accovacciandosi e restando in silenzio da una parte. Rannicchiata, in un angolo della stessa, c’era Alarien. L’elfa era a terra, visibilmente sofferente, ed Escol, trascurando qualunque misura di accortezza e di prudenza, si avvicinò di corsa a lei, nel tentativo di soccorrerla. Non si rese nemmeno conto quando una trappola micidiale si aprì sotto i suoi piedi, ingoiandolo tre metri più sotto. Fu solo grazie alla sua armatura incantata che cinque terribili spuntoni, che svettavano dal suolo, non lo uccisero all’istante. Con fatica, il figlio del Duca si districò in mezzo alle lance appuntite, rendendosi conto di esser stato per fortuna ferito in maniera soltanto superficiale. Stava cercando di trovare un modo per risalire da quella maledetta fossa quadrata, quando udì chiaramente dei passi che si avvicinavano, mostrando alfine chi ci fosse dietro quell’inganno e quella botola mortale. Si trattava di Aelald il sicario di “Bedde”, l’uomo che, con la sua presenza laggiù, in quella dannata prigione, confermava tutte le sue ipotesi sulla questione! Il figlio del Duca provò a provocarlo, a dargli del codardo, a spronarlo di affrontarlo da uomo, ma il sicario fece spallucce, dicendo che non era certo un folle a voler affrontare il “Terrore d’Argento” faccia a faccia. Aveva escogitato quella trappola insieme all’Inquisitrice, che in realtà non era mai tornata in città. La “dama rossa” aveva preso in custodia l’elfa e la stava conducendo in catene ancor più ad est, verso la città di Laudarksey, capitale dell’Impero. Lui invece aveva sfruttato il rancore del suo amico “Dakkar”, che avrebbe molto prevedibilmente fatto l’impossibile per salvarla, anche infilarsi stupidamente in una cittadella gremita di legionari, per prenderlo vivo e portarlo in catene dal suo padrone. Era bastato divulgare informazioni false sulla presenza dell’elfa nei sotterranei per attirarlo quaggiù e poi catturarlo senza spargimenti di sangue. Escol dovette ammettere che quel dannato sicario aveva ragione: uscire da quella fossa prima che lui e le sue guardie lo facessero a pezzi era praticamente impossibile. Inoltre se le cose si fossero miracolosamente messe male per loro, avrebbero avvertito qualcuno di sopra e, dopo pochi minuti, qui sotto si sarebbe scatenato l’inferno! Sebbene Aelad sembrasse nervoso, poiché continuava ad imprecare sottovoce e a guardarsi a destra e a sinistra come se stesse aspettando qualcuno, Escol sentiva che la sua fine era vicina. ll figlio del Duca sospirò, ed implorò Enwel di aiutarlo, poiché se non fosse successo qualcosa di davvero risolutivo, l’intera missione sarebbe fallita tragicamente. Oltre al fatto, per nulla trascurabile, che sarebbe quasi certamente morto se nessuno l’avesse aiutato, perché, francamente, dubitava che Eofaulf potesse riuscire nell’impresa. Appena terminò di invocare il nome della sua amata, si sentì sollevare incredibilmente dal suolo, dolcemente, come se una mano invisibile l’avesse afferrato e scortato delicatamente sul pavimento. Passò solo un secondo prima che Escol riuscisse ad inquadrare quella nuova situazione, poi, con un sorriso storto, il figlio del Duca uscì a grandi passi dalla stanza, lasciando Aelald e le guardie a guardarsi esterrefatte nella stanza. Il sicario imprecava sì contro di lui, ma anche nei confronti di qualcun altro, che evidentemente sarebbe dovuto intervenire a finire il lavoro che lui aveva iniziato. Escol non se ne curò più di tanto in quel momento: ringraziò silenziosamente Hilda per l’aiuto offertogli (doveva per forza esser stata lei, invisibile nella stanza) e fece capolino nel corridoio. Notò che Eofaulf stava ancora combattendo con gli altri due legionari: uno era morto, ma l’altro stava avendo la meglio su di lui. Il coraggioso ranger era stato infatti gravemente ferito ad una gamba. La ferita sanguinava copiosamente, impedendogli di muoversi correttamente e il giovane guerriero capì che il suo compagno non avrebbe resistito molto altro tempo ancora. Il “Terrore d’Argento” arrivò dunque come una furia in suo soccorso, trafiggendo alle spalle il legionario con un colpo secco della sua spada ricurva. Poi lanciò una pozione di guarigione al ranger e si apprestò a tornare da Aelald. Il sicario di “Bedde” gli stava venendo incontro, urlandogli tutto il suo astio. Continuava ancora a guardarsi intorno, ma in quella concitazione e confusione, Escol non riusciva a trovare spazio per altre considerazioni che non fossero quelle relative all’ucciderlo. Tra l’altro, le sue grida, insieme al combattimento precedente di Eofaulf, avrebbero ben presto attirato laggiù dei rinforzi. Non c’era dunque tempo da perdere. Escol accettò volentieri lo scontro. Il sicario, spada in pugno, affiancato dalle due sentinelle, aggredì tosto il suo avversario. Tuttavia, pungolato dalla piega positiva che avevano preso le cose, il figlio del Duca combattè con ancor maggiore ardore del solito e alla fine non ci fu niente da fare: il “Terrore d’Argento” li uccise tutti senza pietà in pochi secondi. Escol fu talmente preciso e potente nei suoi affondi, che, sogghignando, quasi pensò di invitare la sua amica mezzelfa a rivelarsi, pensando che dietro la sua incredibile perizia di colpi e movimenti, ci fosse stata lei. Voleva poterla ringraziare di persona per il suo prezioso sostegno e per studiare con lei un piano di fuga di tipo mistico. Tuttavia scoprì, solo dopo pochi istanti e suo malgrado, che era stato invece qualcun altro ad aiutarlo ad uscire dalla trappola micidiale di Aelald. Un alleato assolutamente imprevisto ed inaspettato: il mago che aveva incontrato brevemente nella fattoria di Flutovund! Egli si rivelò ai due compagni sbucando dalle ombre e sostenne subito che, ovviamente, non aveva intenzioni ostili: voleva solo che loro lo aiutassero a liberare il misterioso prigioniero tenuto segregato nell’altra cella. Inoltre aveva un’altra moneta di scambio da offrire: un oggetto prezioso e raro che egli definì: “L’Occhio di Arios”. Si trattava dello stesso gioiello che l’infame Inquisitrice aveva utilizzato contro di loro lungo la strada per Selushvi: quello che, almeno per quel che ne sapeva Escol, aveva cancellato ogni forma di magia elfica nell’area. All’inizio Escol si irrigidì, pensando che il mago volesse utilizzarlo su di lui, ma poi egli si avvicinò e gliene fece dono senza pensarci su due volte. Il figlio del Duca allungò una mano guantata e lo afferrò, relegandolo immediatamente nello zaino. Poi scrutò meglio lo stregone da sotto la sua maschera d’argento: probabilmente aveva le sue ragioni per regalare un oggetto così prezioso al nemico in questo momento più pericoloso dell’impero, ma si guardò bene dall’entrare nell’argomento: d’altronde, a caval donato non si guardava in bocca! Probabilmente era proprio lui l’alleato che Aelald attendeva per finirlo, ma egli evidentemente aveva preferito tradirlo. Il giovane guerriero abbassò dunque la sua spada incantata e annuì in direzione di Eofaulf, intento a mostrargli le chiavi della prigione. Il ranger aprì quindi la porta della cella e, dentro di essa, rannicchiato in un angolo, c’era una creatura enorme, incatenata e a cui avevano applicato una maschera di ferro sul volto. Eofaulf, percependo il suo dolore, piombò più in fretta possibile su di essa e la liberò, ma la reazione della creatura non fu propriamente amichevole. Afferrò infatti il collo dell’esperto ranger e lo sollevò da terra come un fuscello. Sembrava una bambola di pezza nelle mani di un bambino un po' troppo vivace. Escol rinfoderò tosto la spada e aprì le mani in segno di buone intenzioni. Spiegò che loro erano giunti lì per salvarlo e che non erano suoi nemici. Udendo quelle parole, pronunciate con estrema sincerità, il gigante lasciò andare Eofaulf, che si dimenò qualche secondo in cerca di aria da respirare prima di riprendersi del tutto. La creatura si concentrò quindi sul giovane guerriero. Ora che Escol riuscì a vederlo meglio, deglutì per la paura e per il nervoso: si trattava nientemeno che di un “Asur”! Se ne rese conto dagli occhi interamente rossi e dai tatuaggi che spiccavano numerosi su tutto il suo corpo, compreso il volto. Egli era un antico e potentissimo essere dei tempi andati. Una creatura malvagia, fatta di ombra e di crudeltà. Lo stregone dietro di Escol si avvicinò e si inchinò a lui con fare reverenziale: i suoi intenti, le sue motivazioni, forse anche le ragioni per cui aveva aiutato Aelald fino a tradirlo proprio quel giorno e in quel modo preciso, ora parvero chiari a tutti. Egli sperava che il “Terrore d’Argento” riuscisse alfine a liberare quell’essere, al quale pareva molto legato. Dal canto suo, il figlio del Duca gli fece alcune brevi domande per capire se davvero fosse in qualche modo collegato alle creature oscure presenti nella foresta e “l’Asur” annuì, sostenendo che esse erano soltanto i “suoi animaletti” personali. Quindi continuò ad azzardare col domandargli se potesse restituir loro il favore, aiutando lui ed i suoi amici a rintracciare una prigioniera elfa a cui teneva tantissimo. Sarebbe bastato che egli avesse ordinato ai suoi “animaletti” privati di aiutarli a rintracciare l’inquisitrice, ed il gioco era fatto. La voce dell’”Asur” era profonda, ed intrisa di potere nascosto. In buona sostanza accolse la richiesta di Escol, ma non subito: avrebbe chiesto ai suoi servi di trovare Alarien, ma prima avrebbero dovuto uscire da lì. Ed in fretta! Dal clamore che stava accorrendo nei sotterranei infatti, sembrava che non ci fosse più molto tempo prima di essere travolti dai legionari imperiali! “L’Asur” fece dunque due passi avanti, sfiorò uno dei suoi tatuaggi, ed aprì un portale davanti a sé, tra lo stupore generale. Quindi varcò il cerchio di luce, seguito tosto dal mago. Escol ed Eofaulf si guardarono per un attimo intenso e poi anche loro si fiondarono dentro senza guardarsi alle spalle. Chissà se “l’Asur” avrebbe mantenuto la parola data: da quel che il figlio del Duca sapeva su quelle creature, esse erano davvero l’incarnazione del male, ma in quella situazione non avevano davvero altra scelta possibile: dunque meglio il rischio alla morte certa!