La prima sensazione che Escol provò quando quel maledetto cristallo cominciò a vibrare e a sparare luce rossa da tutte le parti, fu strana e piuttosto spiacevole. Completamente ricoperto dalla magia degli elfi, dal ciondolo di Enwel alla spada ricurva di Nelothien, dall’armatura incantata al mistico scudo perfetto che portava dietro la schiena, il giovane guerriero si era ormai assuefatto a percepirla come parte di lui. Era talmente abituato a conviverci, come una specie di confortevole calore che lo avvolgeva e gli infondeva coraggio, che praticamente non ci faceva nemmeno più caso. Adesso invece non sentiva niente, ma davvero nulla: come se quella mistica, piacevole “presenza”, in lui ed intorno a lui, non ci fosse mai stata. Sgranando gli occhi, cercò terrorizzato quelli di Hilda, che giaceva immobile sul cavallo, bianca come un lenzuolo. La mezzelfa si guardava le mani scuotendo la testa, aveva quasi le lacrime agli occhi per lo stupore e l’angoscia e stava tentando di comunicargli di non fare nulla di avventato, ma davvero niente, perchè ogni forma di magia elfica nella zona, compresa la sua, era stata completamente sopita dal mistico gioiello dell’inquisitrice. Escol deglutì per il nervoso: osservando meglio quella pietra lavorata, color rubino, gli parve di intuire che essa non avesse solo il potere di inibire la magia elfica entro un raggio d’azione che ignorava, ma anche la proprietà di rilevarne ogni manifestazione, diretta o indiretta. La giovane donna vestita di rosso annuì una sola volta, ed il capitano diede l’ordine ai suoi legionari di circondare la carovana, mentre Jonas si guardava a destra e a sinistra nel tentativo assai vano di capire cosa diavolo stesse succedendo. Escol invece l’aveva ben inteso: quella specie di mago imperiale stava utilizzando uno dei “nuovi e più potenti strumenti” di cui aveva parlato Theo alla locanda di Faland. Nuovi strumenti che, se non contrastati efficacemente, il Nordhmenn aveva sottolineato più volte avrebbero spazzato via la ribellione per tutto l’impero entro pochi mesi. Per forza: se quei cristalli riuscivano non solo ad identificare la magia elfica, ma anche ad inibirla, come avrebbe fatto il popolo di Enwel a resistere a lungo contro le legioni imperiali e i suoi evocatori? Il capitano Wilford rimase calmo, per nulla aggressivo nei confronti di Jonas e della sua scorta e questo diede ad Escol un pò di speranza di poter usare la sua proverbiale arte oratoria per uscire indenni da quel terribile pasticcio. L’ufficiale imperiale domandò al mercante se poteva avere da lui il permesso di controllare il carro e le sue mercanzie, in modo tale da verificare se la carovana trasportasse oggetti proibiti o di contrabbando. Allibito e sconcertato da quella pungente domanda, Jonas fece segno al capitano di aprire pure il carro e controllare, sempre sperando in cuor suo che Alarien avesse fatto in tempo a nascondersi nello scomparto segreto. Per nulla sicuro di questo, Escol decise di giocarsi il tutto per tutto. Alzò le braccia e domandò al capitano se poteva prima aprire il suo zaino per mostrargli un oggetto che aveva acquistato in un emporio lungo il viaggio. Egli dichiarò ovviamente che non aveva idea se esso fosse incantato oppure no, ma in caso lo fosse stato, lo avrebbe consegnato senza indugio all’inquisitrice, con la speranza che si fosse mostrata indulgente nei confronti della sua ignoranza in materia di magia elfica. Il figlio del Duca sapeva bene che egli era un vero e proprio simulacro “dell’arte incantatrice elfica”, dalla testa ai piedi, ma in cuor suo albergava forte la speranza che quel cristallo non fosse un oggetto infallibile. Contava sul fatto che rilevasse sì la presenza della magia elfica, ma che non potesse determinare con esattezza la sua potenza o la fonte precisa all’interno di quell’area circoscritta. A meno che non fosse stato particolarmente vicino ad esso: in quel caso probabilmente i rischi di essere identificato avrebbero potuto diventare molto più alti. Questo in teoria, certo. La giovane donna in rosso annuì e gli disse di procedere pure. Speranzoso, Escol smontò dunque da cavallo e prese a rovistare nello zaino. Dopo alcuni secondi, tirò fuori la pietra verde che gli aveva dato Air Lourge, principe dei nani. Quindi mise in atto il suo bluff. “Mia signora, ecco a voi: questo è l’oggetto che ho acquistato in quell’emporio di cui vi ho parlato. Se esso risulti incantato e pregno dell’odiosa magia elfica, io lo ignoro. Tuttavia ve ne faccio volentieri dono, se dovesse rappresentare un problema per me e per i miei amici. Non vogliamo certo compromettere i nostri affari a Selushvi per un ninnolo privo di valore!” Il figlio del Duca sfoderò uno dei suoi più accattivanti sorrisi. L’inquisitrice invece osservò attentamente la pietra senza nemmeno scendere da cavallo. Poi affermò lapidaria che quell’oggetto non era stato lavorato dagli elfi ma dai nani e che quindi non poteva essere la fonte della magia che il cristallo stava percependo. Escol aveva temuto che quel maledetto gioiello mandasse in malora la sua copertura se si fosse avvicinato troppo, ma esso sembrava non reagire minimamente al suo approssimarsi, il che pareva molto strano. Almeno in base a quel che vedeva, al suo muto scintillio. Tuttavia, agendo in questo modo, il giovane guerriero aveva avuto almeno in parte conferme sul funzionamento di quella strana gemma cremisi. Il capitano domandò di nuovo a quel punto e per la seconda volta di poter controllare il retro del carro: si trattava di pura cortesia in realtà, poiché tutti i presenti erano certi che avrebbe fatto in ogni caso una perquisizione minuziosa ai beni presenti nel convoglio. Ovviamente Jonas annuì, ed anche Escol si offrì di accompagnare Wilford al convoglio, ma egli intimò a tutti di rimanere gentilmente immobili laddove si trovavano. La sua richiesta era pacata, ma non ammetteva repliche, pertanto anche il figlio del Duca fu costretto ad obbedire. Dopo qualche minuto, spuntò da dietro il carro, dicendo che lì dietro sembrava tutto apposto, ma l’inquietante mistica imperiale pretese che l’ufficiale cercasse meglio. Magari eventuali scomparti segreti, invisibili ad un controllo sommario. Il capitano obbedì e ben presto scovò il nascondiglio segreto, riportando prontamente l’informazione alla donna in rosso. Ella a quel punto alzò la mano destra e ordinò di utilizzare una lancia per “verificare ancora meglio” se quel carro si arrogasse il diritto di scortare davvero “ospiti indesiderati” in giro per l’impero. Escol trasalì e rammentò subito le parole di Alarien: la situazione si metteva male e lui ben presto avrebbe dovuto operare una scelta molto difficile, proprio come lei aveva predetto. La mano scivolò sulla spada, ma una rapida occhiata di Eofaulf lo spinse a cambiare subito idea: un gesto del genere, istintivo ed avventato, avrebbe portato tutti loro a morte certa. Ovviamente, molti di quegli uomini sarebbero stati trucidati insieme a loro quel giorno, ma non era un cambio conveniente che Escol avrebbe potuto e dovuto accettare. Almeno per adesso. Il figlio del Duca chiuse gli occhi, aspettando di udire la voce del capitano che urlava qualcosa a proposito di un’elfa, ma Wilford tornò al suo cavallo senza dire una parola. Portava solo un piccolo oggetto in mano, che consegnò subito all’inquisitrice. Si trattava di un carillion incantato, di chiara fattura elfica, che egli aveva rinvenuto dentro lo scomparto segreto. Al che Jonas, intuendo al volo il piano di Alarien, fu lesto a mentire e confessò il suo “piccolo reato” alla donna in rosso. Sostenne di aver acquistato anche lui quel giocattolo elfico in un emporio, proprio come Escol, oggetto che sarebbe ben presto divenuto un dono che avrebbe fatto a sua nipote una volta giunti a Selushvi. Si scusò profondamente per quella piccola bugia, ma non c’era davvero alcuna malizia nei suoi intenti, solo il desiderio di far contenta la sua nipotina nel giorno del suo compleanno. La donna guardò severa il mercante. Poi disse: “Il giocattolo verrà comunque confiscato, ma voi siete liberi di andare. Tuttavia vi avverto: non tutti gli inquisitori sono magnanimi come lo sono io. Pertanto fate molta attenzione per il futuro… ora andate.” I legionari si aprirono per farli passare e anche l’inquisitrice stava per girare il cavallo e tornare dietro i suoi uomini. Poi però si fermò e ci pensò su qualche altro attimo intenso, come se stesse valutando qualcosa, una possibilità che gli altri non vedevano, ma lei evidentemente si. Quindi si concentrò e richiamò “qualcosa” sul posto, lì, vicino a lei. Nonostante ci fosse ancora luce, poiché pomeriggio inoltrato, la creatura che si agitava a meno di un metro dal suo cavallo, vibrava di oscurità. Sembrava un corvo, ma dalle fattezze umanoidi. Ella lo guardò sprezzante, quasi con odio e disse imperiosa: “Trova! Vai!” La creatura ripiegò su sé stessa e sparì in una bolla di oscurità assolutamente innaturale. Escol volse gli occhi immediatamente alla foresta e in quel preciso momento intuì i pensieri della donna in rosso. Così come contemporaneamente comprese il piano di Alarien per toglierli dai guai. Si preparò dunque alla pugna, poiché era certo che il capitano Wilford non li avrebbe mai lasciati andare adesso che erano seriamente sospettati di trasportare clandestinamente un elfo. Tutto sarebbe dipeso dalle capacità di quella strana creatura e dall’abilità di Alarien di depistarla, ma Escol sentiva per istinto che la sua amica aveva ben poche possibilità di spuntarla. Invece, stranamente, la legione ripiegò lo stesso e a loro fu permesso comunque di continuare per la loro strada. Quando gli imperiali uscirono dalla loro visuale, Eofaulf diede l’ordine di fermarsi. Escol si precipitò quindi sul retro del carro e lì tutti i suoi sospetti furono confermati dai fatti: lo scomparto segreto del carro era stato letteralmente fatto a pezzi, ma di Alarien non c’era alcuna traccia. Segno che l’elfa era riuscita a scivolare via prima che l’inquisitrice avesse fatto circondare la carovana, ed aveva raggiunto la foresta poco distante, lasciando nello scomparto il piccolo giocattolo che aveva salvato loro la vita. Il figlio del Duca si tormentava all’idea di Alarien che cercava di nascondersi per la foresta, tentando di sfuggire a quell’oscuro segugio e al suo tragico destino. Se fosse stata catturata, sarebbe stata certamente torturata e poi probabilmente sbattuta nelle carceri di Selushvi in attesa di giudizio. Escol diede quindi l’ordine a Jonas di proseguire verso la città, mentre lui ed Eofaulf avrebbero provato a trovarla prima degli imperiali. Galoppando come dei pazzi, i due compagni raggiunsero il luogo dove erano stati interrogati e lì l’esperto ranger diede il meglio di sé, rinvenendo dopo un pò di fatica le poche, quasi impercettibili tracce del passaggio dell’elfa sul terreno. I due riuscirono a seguirle fin dentro la foresta per un altro breve tratto, poi esse sembrarono svanire nel nulla. Incredulo, Eofaulf provò a guardare di nuovo lì intorno, ma niente: Alarien sembrava come magicamente scomparsa. A quel punto ad Escol venne istintivo alzare la testa, notando in effetti che qualcosa si muoveva tra le fronde degli alberi. Aguzzando meglio la vista, scorse di nuovo quell’inquietante creatura nerastra, simile ad un uccello dal becco adunco, ma dai tratti vagamente umanoidi. La mano andò subito alla spada, ma Eofaulf gli disse di aspettare prima di scegliere di combattere. Avevano bisogno di risposte e forse quella “cosa” ne aveva qualcuna da offrire. I due compagni scoprirono subito che non era affatto facile comunicare con essa: si trattava certamente di una creatura intelligente, ma che non padroneggiava bene la loro lingua. Utilizzava termini molto semplici e parole spesso inappropriate per esprimere i concetti, ma Escol riuscì a capire bene due cose: 1) che era stata lei a scovare e a lasciare che i legionari facessero prigioniera Alarien e 2) che era obbligata a servire l’inquisitrice. Infatti sembrava sentitamente addolorata per ciò che aveva fatto, il suo popolo era per natura pacifico, ma ribadì più volte che non aveva avuto scelta: quella dannata femmina umana la teneva in pugno e pregò e scongiurò che loro la uccidessero per poter tornare ad essere finalmente libera dal suo terribile giogo. Escol si consultò con Eofaulf e i due alla fine la rassicurarono: tra le loro più prossime priorità c’era certamente quella di vendicarsi del male che ella avrebbe sicuramente inferto ad Alarien. Tuttavia Escol pretese un pagamento in più per le sue deplorevoli azioni, anche se obbligate da qualche condizionamento da parte dell’inquisitrice. Pertanto pretese che, alla morte della stessa, pagasse il suo debito facendosi trovare qui, nella foresta, ad attenderli paziente, per svolgere un compito importante per la loro causa. Poi sarebbe stata libera di tornare dalla sua gente. Il bizzarro, eburneo figuro acconsentì e quindi i due amici tornarono indietro, raggiungendo ben presto, galoppando senza soste, la carovana di Jonas. Certo era una situazione davvero strana, osservò Escol. Perché l’inquisitrice li aveva lasciati andare se sospettava di Alarien? Tra le altre cose: lo sospettava o già ne era conoscenza? L’elfa era stata braccata e scovata in un lasso di tempo davvero esiguo, quindi perchè non attendere lì, sul posto, e poi arrestarli tutti? C’era qualcosa che non quadrava: l’intero svolgersi dei fatti “puzzava di trappola” lontano un miglio. Il giovane guerriero aveva quasi la sensazione che qualcuno li stesse aspettando a Selushvi: una specie di comitato di benvenuto, non previsto, ma tutt'altro che accogliente! Come a far da eco a queste parole e a questi pensieri di malasorte, una volta arrivati alla periferia della città, essi ricevettero già una bella fetta di quella tetra accoglienza di cui sospettava Escol. Infatti, più di venti elfi giacevano impalati, straziati e torturati, ai due lati della strada principale della città! I famosi prigionieri elfi, “tenuti in catene nelle carceri di Selushvi”, non sarebbero più potuti essere salvati, né da Escol e né dal “Terrore d’Argento”. I loro volti erano sfigurati dal dolore e da mille altre atrocità cui erano stati sottoposti prima di essere impalati e gettati in pasto ai corvi. Escol quasi impazzì per il tormento, per la sorte che poteva esser capitata ad Alarien. Spronando il cavallo cercò il suo corpo, fortunatamente senza trovarlo. Vala tentò di rassicurarlo: l’inquisitrice non poteva aver avuto il tempo di perpetrare quello scempio su di lei. Forse dunque c’era ancora modo di salvarla. Escol annuì. Arrivati a quel punto, di poche cose era più sicuro sul suo prossimo futuro, ma di una era certo: quella dannata donna vestita di rosso l’avrebbe pagata molto cara! Lo giurò sulla tomba di sua madre!