Escol uscì dal Tempio abbastanza sereno. Sapeva bene che ciò che aveva appena deciso riguardo la sua prova avrebbe potuto anche arrivare a compromettere definitivamente la sua carriera e il suo futuro all’interno dell’Ordine, ma aveva davvero troppe cose da fare adesso, troppi dettagli a cui pensare e strategie da stabilire insieme ai suoi compagni per farsene un cruccio. Pertanto entrò in locanda in silenzio, cercando di dissimulare la tensione accumulata e deciso a tenere alto il morale della compagnia. Dopo aver scambiato un paio di battute con i suoi amici, prese posto accanto a loro, a tavola: il clima sembrava abbastanza gioviale. Era quasi primo pomeriggio, ma sia Jonas che Hilda spilucchiavano ancora cibo qua e là, dividendosi tra frutta e un dolce dall’aria davvero deliziosa. Il figlio del Duca si accontentò di un po' d'arrosto e dell’ottimo stufato accompagnato da pane caldo per saziarsi, poi si concentrò su ciò che andava fatto. Il suo piano era semplice: raggiungere Selushvi il prima possibile, provare a salvare i prigionieri elfi (se questo fosse stato oggettivamente fattibile e non un sicuro suicidio), ed abbandonare successivamente il suo nome e la sua identità (“Dakkar Astarte”) per iniziare la seconda fase della propria permanenza presso i territori imperiali. Una grande mano gliel’avrebbe fornita il “Terrore d’Argento”, il quale sarebbe stato, una volta giunti lì, certamente chiamato in causa per cercare di liberare gli elfi ribelli. La necessità di sfruttare il suo nome ed i suoi talenti nasceva dall’idea di accomunare definitivamente l’identità del famigerato ed implacabile “mistico guerriero” a quella di “Dakkar Astarte”, che, per fortuna, solo “Atham Bedde” sapeva essere uno pseudonimo di Escol, figlio del “Duca di Berge”. Questo ultimo dettaglio poteva certamente apparire un problema per chi osservava le cose dall’esterno, eppure sembrava che l’“eminenza grigia” non fosse interessato a catturare vivo né l'uno e né l'altro per verificare la questione, ma solo ad ucciderli entrambi alla spicciola, ed il più atrocemente possibile. Almeno se ci si atteneva alla vecchia lettera che egli aveva vergato appositamente per i sicari della setta “d'Ombra" (che avevano tentato di assassinarlo più volte) e considerando i centomila pezzi d’oro di taglia che aveva messo sulla testa del suo “alter ego soprannaturale”. Era quindi presumibile pensare che se il “Terrore d’Argento” si fosse presentato a Selushvi contemporaneamente o quasi a “Dakkar Astarte”, sarebbe stata una coincidenza perlomeno strana. Una coincidenza che non sarebbe sfuggita di certo ad un uomo sagace ed astuto come “Atham Bedde”. Ecco perché “Dakkar” doveva sparire completamente da quel momento in poi, sostituito da un altro pseudonimo meno ingombrante. Inoltre, se “la resistenza” avesse compreso appieno il perché “il Terrore d’Argento” era stato creato, quale fosse stato il suo reale scopo, avrebbe potuto e dovuto sfruttare il più possibile questo spauracchio, riversando su di esso ogni genere di atto terroristico contro Arios, perpetrato in tutto l’impero. In questo modo non ci sarebbe stata possibilità per Bedde e i suoi scagnozzi di intuire con esattezza né la posizione, né la direzione e né tantomeno lo scopo della sua missione, ed egli avrebbe potuto continuare il suo viaggio verso Kail con un po' più di tranquillità. Almeno questo era quello che si augurava in cuor suo. Eofaulf annuì ascoltando le parole del giovane guerriero e fu d’accordo con lui nel continuare a cavalcare l’onda del “Terrore d’Argento” finché essa fosse durata. Mentre commentava l’intricato discorso del suo giovane mecenate, un ghigno strano si allargò sempre più sulle sue labbra, cosa che, all'inizio, lasciò il figlio del Duca un pò perplesso. Poi, notando che l’esperto scout stava indicando con il pollice il tavolo accanto, comprese meglio il motivo della sua buffa espressione. Un mercante ed un contadino del posto infatti, visibilmente alticci, stavano parlando proprio del suo alter ego corazzato, descrivendolo come un uomo alto più di due metri che aveva sbaragliato da solo più di duecento legionari! Escol sorrise, incrociando lo sguardo divertito di Eofaulf. Poi però decise di intromettersi nella discussione: non era saggio parlare di queste cose all’interno di una locanda che poteva avere occhi ed orecchi indiscreti ovunque. Cercò dunque di frenare i loro animi, troppo inclini a facili entusiasmi: non esisteva nessuno che da solo poteva sconfiggere così tanti uomini ben addestrati, nemmeno il “Terrore d’Argento”! Egli era solo un uomo, temerario sì, ma che prima o poi sarebbe stato scoperto e catturato dalle formidabili legioni dell’imperatore! I suoi interlocutori, soprattutto il contadino, non parevano molto convinti delle argomentazioni del giovane guerriero, che stava enfatizzando forse un pò troppo gli eserciti di Arios per i loro gusti, ma alla fine si tranquillizzarono del tutto quando il figlio del Duca offrì loro da bere, accompagnando quel brindisi con sonore risate pacificatrici. Nel momento in cui la situazione sembrò definitivamente tornata a toni molto più miti, Escol diede l’ordine a tutti di rientrare nelle proprie stanze e riposare fino a cena. Tutto quel baccano nella sala comune avrebbe davvero potuto destare l’attenzione di qualche curioso: meglio evitare di essere presenti in altre situazioni del genere fin quando non fossero arrivati a Selushvi. La mano invisibile di Bedde infatti avrebbe potuto spingersi fino in quella locanda e non sarebbe stato prudente rischiare oltre. Prima di scendere di nuovo per cena, Escol si preoccupò delle condizioni psicologiche di Alarien, ribadendole quanto, tutti i suoi sforzi, i suoi sacrifici, perpetrati fino a quel momento, erano serviti per prepararla a ciò che andava fatto a Selushvi. Lui contava molto su di lei, sui suoi talenti, per scortare i prigionieri, che il “Terrore d’Argento” avrebbe presumibilmente liberato, fin nelle terre selvagge. Appoggiandosi soltanto a quelle poche, pochissime persone degne di fiducia che avevano incontrato lungo il loro cammino, lei sarebbe stata la loro guida, la loro salvezza. Pertanto non doveva cedere ora, così vicini alla meta. L’elfa gli sorrise, rassicurandolo. Tuttavia aggiunse anche che la missione che stava portando avanti, secondo l’idea che si era fatta, era più importante di tutto, anche di lei stessa. Pertanto, se qualcosa si fosse messa male, sperava vivamente che lui avrebbe tenuto bene a mente questa triste ma imprescindibile verità. Le parole di Alarien ebbero l’effetto di turbare molto il figlio del Duca. Egli sapeva bene che gli elfi, perlomeno alcuni di loro, avevano il dono della prescienza: Enwel, per esempio, era una di queste perle rare. Ebbe dunque la stranissima sensazione che Alarien gli stesse comunicando qualcosa tra le righe di ben più di un semplice ammonimento. Comunque, la cena fu squisita, ed Escol poté anche brindare di nuovo con il mercante a cui aveva offerto la birra a pranzo, questa volta con un prezioso vino proveniente dalle sue esotiche mercanzie. Poi, dopo poche altre chiacchiere sulla partenza del giorno dopo e sull’eventuale conferma di Vala ed Eofaulf nella compagnia per la fase due della missione, tutti rientrarono di nuovo nelle proprie stanze per cercare di dormire un pò. Escol prese sonno quasi subito, ma ad un certo punto fu destato da un rumore sinistro nella stanza. Come di una porta che veniva aperta di soppiatto. Il giovane guerriero afferrò un pugnale che teneva sotto il cuscino, attese il momento giusto e poi si preparò ad aggredire l’intruso. Egli era coperto per intero da una pesante cappa scura e non sembrava interessato né a lui né ai suoi compagni, anche se, ora che Escol stava sbirciando meglio in giro, essi non erano presenti nella stanza. Il losco figuro gli passò innanzi, apparentemente puntando al suo zaino. Poco prima che potesse afferrarlo, il figlio del Duca gli saltò addosso e, dopo una zuffa di qualche secondo, gli mise il coltello alla gola, intimandogli di mostrarsi e di chiarire le sue intenzioni. L’intruso alzò le mani, ed Escol lo lasciò andare lentamente, continuando a sventolargli però in faccia la lama del coltello. L’uomo misterioso scoprì il viso dal cappuccio, mostrandosi così al giovane guerriero. Il figlio del Duca spalancò la bocca e sgranò gli occhi quando si rese conto che si trattava di lui stesso! Quell’uomo infatti aveva il suo stesso volto! A quel punto, ben capendo che si trattava di un sogno, anche se incredibilmente realistico, Escol si precipitò verso il suo zaino, lo afferrò e si girò di scatto in direzione del suo “alter ego”, ma egli se n’era già andato. Quindi si svegliò, madido di sudore. Si tirò su dal letto, grattandosi nervosamente la nuca, notando che sia Eofaulf che Jonas dormivano della grossa. Decise allora di andare alla finestra per prendere una boccata d’aria e quando il ranger gli domandò se tutto andasse bene, rispose semplicemente che aveva fatto un sogno davvero strano. Eofaulf annuì ma lo invitò a tornare a letto: il giorno dopo avrebbero dovuto iniziare un viaggio difficile e periglioso: meglio provare a riposare dunque. Escol seguì il suo consiglio, ma come chiuse gli occhi, appesantiti dal sonno, tornò a rivivere lo stesso inquietante sogno di prima. Solo che questa volta se ne rese conto subito e decise di anticipare i tempi, alzandosi dal letto prima che l’intruso entrasse nella sua camera. Poi si affrettò ad afferrare lo zaino. Quindi si voltò verso l’uscio e attese il suo arrivo. Quando l’uomo pesantemente ammantato varcò la soglia della stanza, il figlio del Duca glielo mostrò, domandandogli subito dopo cos’è che cercasse lì dentro. Il sinistro visitatore si scoprì nuovamente il volto, mostrando ancora una volta che egli era una copia identica di sé stesso. Escol provò a fargli delle domande, ovviamente su chi fosse in realtà e a quale oggetto in particolare fosse interessato. Tuttavia il suo onirico sosia evitò di rispondere, asserendo di essere cosciente di rappresentare lui stesso in quello scenario surreale e che quindi l’unica vera domanda sensata che avrebbe dovuto porre, non a lui, ma a sé stesso, sarebbe dovuta essere: “tu che cosa cerchi?” Poi il sogno si interruppe bruscamente, lasciando Escol stremato e più stanco di quando era andato a dormire. Purtroppo lo zaino conteneva decine di oggetti potenzialmente interessanti, pertanto sarebbe stato impossibile rispondere a quella domanda senza un po' di contesto. Sempre che il suo sosia onirico si stesse riferendo a qualcosa presente nello zaino, cosa di cui a questo punto Escol non era più tanto sicuro, visto che la domanda, posta in quel modo, poteva riguardare argomenti molto più esoterici e metafisici. Tuttavia non c’era più tempo per le riflessioni: l’alba era arrivata da un pezzo e la carovana si apprestava a mettersi sul sentiero per l’ultimo tratto del suo viaggio. Questa volta anche Hilda avrebbe cavalcato insieme al resto della compagnia, lasciando il suo posto ad Alarien, che fu costretta invece a nascondersi per tutto il tempo dentro il carro. Sarebbe stato infatti troppo pericoloso per lei viaggiare con i suoi compagni, soprattutto a causa dell’editto imperiale, secondo cui era proibito andare in giro con il volto coperto. Meglio dunque essere prudenti e procedere al sicuro, ben nascosta tra le mercanzie accatastate nel carro. Il primo giorno di viaggio passò tranquillo, con Escol che provò a dormire tutta la notte seguente, evitando perfino i turni di guardia, ma i sogni continuavano ad assalirlo e a svegliarlo di continuo. Sogni o forse incubi, perché non riusciva a ricordarne nemmeno uno all’alba del giorno dopo. Pertanto la speranza del figlio del Duca di recuperare un pò di forze dormendo accanto al fuoco si rivelò del tutto vana e quando montò a cavallo per riprendere il cammino, sembrava più sfinito della sera precedente. Il secondo giorno non ebbe intoppi fino al primo pomeriggio: carri e mercanti andavano e venivano lungo il sentiero, ed Escol fu tentato più d'una volta di agire molto stupidamente, impugnando le armi alla vista dei tanti schiavi nani marchiati a fuoco, servi di mercanti o di facoltosi officianti dell’impero. Tuttavia, nonostante la rabbia, riuscì sempre a trattenersi, fin quando una legione imperiale, composta da almeno due dozzine di soldati, gli intimarono l’alt per l’ennesimo controllo di routine. Jonas si preparò a ripetere la solita storiella al capitano di turno, che disse di chiamarsi Wilford, ma questa volta la fortuna decise di voltare le spalle alla compagnia. Scivolando tra le maglie dei soldati infatti, si fece largo a cavallo, affiancando tosto l’ufficiale, una figura inquietante vestita di rosso e dallo sguardo glaciale e feroce. Escol si accorse subito che era una giovane donna dotata di mistici poteri: una dei temibili e tanto paventati Inquisitori imperiali! Subito i legionari si misero a ventaglio dietro di lei ed il capitano, a bloccare eventuali vie di fuga. Dopo le classiche domande di rito, che il capitano sottopose come di consueto a Jonas, ella tirò fuori uno strano artefatto: un cristallo bluastro che emetteva bagliori intermittenti. Lo alzò e poi lo direzionò verso la carovana e la sua scorta e fu in quel preciso momento che iniziarono i problemi per i nostri eroi. Problemi che avrebbero potuto portare alla disfatta più totale se non fossero stati molto attenti!