La compagnia ci mise due giorni per arrivare alla città successiva, ma questa volta nessuna pattuglia li aveva avvicinati per ispezionare il carro o controllare i loro lasciapassare. Escol aveva notato che qualcuno li stava tenendo d'occhio da quando avevano lasciato Faland, seppur rimanendo a distanza, ma non aveva dato alla questione un peso particolarmente importante: alla fine era normale che alcuni piccoli distaccamenti imperiali perlustrassero meglio la zona, dopo l’onta che “il terrore d’argento” aveva gettato su di loro meno di tre sere prima. Anche secondo il parere di Vala ed Eofaulf, in testa al carro, questa situazione era perfettamente comprensibile: dopo i “fatti” di Faland l’attenzione generale da parte degli imperiali era divenuta più zelante nei confronti dei mercanti di passaggio, ma era pur vero che ripetere più e più volte gli stessi identici controlli sul territorio, alle stesse carovane, poteva diventare un inutile spreco di tempo e di risorse. Tempo e risorse che invece potevano esser impiegati per stanare ed arrestare le “spie elfiche”, che minacciavano davvero la salute dell’impero. Ecco il perché i convogli erano costantemente vigilati da lontano, senza che però venisse forzata la mano: si seguiva il protocollo, ma senza che la cosa sfogasse nella paranoia. Una presa di posizione del genere, che esasperasse troppo gli animi, non era certo auspicabile per il morale delle truppe, almeno per adesso. Quando il gruppo varcò i confini di Kryseta era mattina presto e Jonas non vedeva l’ora di raggiungere la locanda ove amava alloggiare quando passava per di qua. Il morale di Alarien si era alzato leggermente, visto che l’elfa non era stata costretta a rintanarsi nel carro o, peggio, in quella dannata intercapedine, ma la situazione stava purtroppo rischiando di cambiare rapidamente. All’entrata della città infatti, cinque coscritti imperiali stavano esaminando attentamente chi entrava e chi usciva da Kryseta. La città non presentava mura di cinta, esattamente come le altre che avevano visitato finora, ma questa volta c’erano dei soldati armati fino ai denti a presidiarla, segno che qualcosa stava cambiando. Fortunatamente per loro non erano legionari, ma Escol percepì comunque che qualcosa si stava smuovendo in seno all’impero. Una certa ansia palpabile, una sottile agitazione generale, che si era augurato vivamente di poter instillare nei cuori dei soldati imperiali, grazie alla creazione del suo implacabile “personaggio”. Evidentemente ci stava riuscendo e di questo era molto contento. Il capitano delle guardie era un uomo cortese ma determinato e confermò a Jonas che quel clima così poco ospitale nei confronti dei visitatori si era creato a causa degli spiacevoli incidenti incorsi a Faland, dove un criminale senza scrupoli che si faceva chiamare “il terrore d’argento”, aveva attaccato nientemeno che la casa del podestà cittadino, liberando dei prigionieri elfi, nemici dello stato e uccidendo alcune guardie innocenti. Dunque il governatore della città, su preciso ordine degli ufficiali più vicini all’imperatore Arios, era stato costretto ad adottare misure più rigide, più marziali. Escol annuì comprensivo. Quindi, quale capitano della scorta del mercante, fu invitato da uno dei coscritti a seguirlo fino al palazzo, per conferire direttamente con il governatore circa i motivi che li avevano spinti a giungere a Kryseta e sugli eventuali dettagli di tale permanenza. Ovviamente anche Jonas sarebbe dovuto andare con lui, mentre i suoi compagni avrebbero potuto tranquillamente sostare alla locanda, piantonati dalle guardie, finché il governatore avesse fornito il lasciapassare, scritto di suo pugno, necessario per ottenere il permesso di entrare e rimanere in città. Il capitano quasi si scusò per i bruschi modi, ma questa ormai sarebbe stata la procedura da seguire chissà per quanto tempo ancora. Prima di andare con Jonas, Escol si raccomandò con Eofaulf specialmente per quel che riguardava l’incolumità di Alarien. Inoltre aggiunse che se lo scout fosse stato costretto ad intervenire con azioni violente, avrebbe dovuto sincerarsi di non lasciare testimoni e di attribuirne la responsabilità (anche con una certa enfasi se possibile) al “terrore d’argento”. Tuttavia sarebbe stato meglio evitare scontri a Kryseta, questo per non insospettire troppo i capitani che avrebbero controllato i loro nomi in futuro: meglio non far sorgere il sospetto di esser stati sempre presenti ogni qualvolta “il terrore d’argento” aveva fatto la sua comparsa da qualche parte. L’esperto ranger annuì e dunque Escol, affatto a cuor leggero, iniziò a seguire con Jonas la guardia per i vicoli della città. La tenuta del governatore era piuttosto grande, piena di coscritti che la pattugliavano in lungo ed in largo e decisamente in fermento. Da quel che vedeva in giro, sembravano tutti piuttosto preoccupati e su di giri a causa di ciò che era capitato a Faland. Gli echi dei loro borbottii riguardo il suo alter ego, sciamavano e si moltiplicavano per l’intera costruzione. Il soldato scortò i due compagni al centro della struttura, finché, dopo l’ennesima rampa di scale, si fermò innanzi ad un’ampia porta di legno. Il marmo bianco, le grandi finestre e i pesanti arazzi, erano piuttosto comuni su questo piano, segno che probabilmente esso era il più importante dell’edificio. Il coscritto bussò, poi gettò una voce all’interno, chiedendo al governatore se quello fosse un buon momento per ricevere degli ospiti bisognosi di un lasciapassare cittadino. Una voce femminile, imperiosa e glaciale, li invitò tosto ad entrare. Escol fu colto decisamente di sorpresa dal fatto che si trattasse di una donna. Non perchè tra i Nordhmenn fosse una cosa particolarmente strana, anzi: uomini e donne rivestivano cariche autorevoli allo stesso modo, tuttavia nessuno dei coscritti aveva mai parlato di un governatore di sesso femminile e chissà perchè nella sua testa aveva pensato che si dovesse trattare per forza di uno dei tanti omuncoli privi di onore, politicanti e fantocci, che Arios aveva imposto come podestà alle sue città prossime al confine. Invece Kathell Winther era tutto fuorché “un uomo” di tale bassa risma. Anzi. Alta, muscolosa e chiaramente una ex combattente in base alla cicatrice che aveva sull’occhio destro, aveva un portamento e dei modi che non lasciavano spazio a dubbi sul suo valore e sul suo grado di discernimento. Inoltre, anche se certamente aveva passato da tempo le quaranta primavere, rimaneva ancora una donna molto bella, con inoltre qualcosa di familiare, affine quasi, che però Escol percepì solamente a livello istintivo. La nobildonna aveva dei modi gentili ma fermi. Era educata ma determinata e soprattutto il figlio del Duca capì subito che detestava chiunque le mentisse in maniera spudorata, sottovalutando senza ritegno la sua acuta intelligenza. Esaminò il faldone con i loro permessi e i loro lasciapassare, apparentemente con estremo interesse, poi però li scansò, quasi non volesse perdere tempo in procedure senza valore, ed iniziò a fare domande, non sulle merci o il tragitto che la carovana avrebbe fatto oltre la sua città, ma sulle persone che ne facevano parte. Era interessata a conoscere direttamente la loro storia, non qualcosa che poteva essere contraffatto o preparato prima. “Astuta…” Pensò Escol. con un ghigno d’approvazione. Era chiaro che c’era qualcosa che non la convincesse riguardo la loro compagnia e che evidentemente fosse a conoscenza di alcuni dettagli su di loro piuttosto dubbi e adesso voleva capire quanto questi dettagli fossero veri oppure solo voci di corridoio. Escol comunque accettò la sfida. Disse che proveniva dalle terre selvagge, in particolare dai territori che appartenevano al Duca Berge, asserì che era stato adottato dal Duca quando era praticamente un infante e che era cresciuto come fosse il fratello mai avuto di Escol, il figlio del Duca. Ammise che il cognome Astarte non era il suo vero cognome, perché in realtà lui non ne aveva mai avuto uno, ed aveva scelto quello in onore di colui che era il suo esempio di guerriero per eccellenza: Victor Astarte, un vero gigante per conoscenza tattica ed acume bellico, nonostante le avverse fazioni. Kathell Winther apprezzò la sincerità del giovane capitano e non si tirò indietro quando Dakkar/Escol le fece a sua volta una domanda piuttosto personale. Le chiese infatti come poteva essere possibile che una donna valorosa, una combattente esperta e un comandante sagace, qual sicuramente lei era da quel che vedeva, era finita in questo angolo di mondo a fare domande spoglie di significato dietro ad una scrivania, a mercanti e mercenari, invece di fare la differenza su un campo di battaglia o nella diplomazia, per la propria gente ed il proprio indiscusso sovrano? La risposta del governatore fu molto eloquente ed esemplificativa: ella serviva l’impero, ed avrebbe fatto tutto ciò che sarebbe servito affinché esso perdurasse finché fosse stata in vita. "Serviva l’impero”, non l’imperatore. Aveva specificato. Forse anche per lei, dunque, combattere i nemici di Arios e non quelli dell’impero poteva sembrarle una pratica non molto giusta da seguire. Non era forse vero infatti che molte delle mercanzie che venivano vendute nei territori imperiali appartenevano alla fine arte manuale dei nani e degli elfi? Quindi essi venivano cacciati, imprigionati ed uccisi, ma le loro produzioni potevano circolare liberamente per il territorio? C’era qualcosa che non andava in quel ragionamento. Qualcosa di vile e di ipocrita. Sia Escol che Kathell Winther si trovarono perfettamente d’accordo su questo punto: la guerra non portava solo morte e sciagure, ma anche falsità ed infamie, con cui chi restava in vita doveva fare perennemente i conti. Perplesso e confuso a causa della straordinaria empatia che i due sembravano mostrare l’un l’altro, Jonas, pensando che quella lunga conversazione potesse portare a rischi per loro troppo alti, cercò di chiuderla velocemente, riportando il discorso su questioni più pratiche ed impellenti. Il governatore annuì, prese un foglio di pergamena lo vergò con poche ma inequivocabili parole e lo offrì al mercante. Commentò quel gesto spiegando che, secondo l’idea che si era fatta, esistevano davvero poche probabilità che loro fossero dei terroristi, ma che anche lo fossero stati, non avrebbero comunque avuto il tempo di creare disordini nella sua città in sole ventiquattro ore. “Non ci scommetterei troppo…”. Pensò Escol tra sé, inarcando in maniera buffa un sopracciglio. Prima di congedarli, Kathell Winther abbozzò un lieve sorriso, solleticando in questo modo la curiosità di Escol, ed esasperando ancor di più la pazienza già gravemente assottigliata del mercante. Lei aveva abbassato un po' gli occhi, poi li aveva rialzati fieramente e li aveva incollati su quelli di lui. Escol notò solo in quel momento che avevano lo stesso colore dei suoi. Poi pronunciò alcune parole che il figlio del Duca non dimenticò mai per il resto della sua vita: “Sorrido, perchè ci fu un tempo in cui… mia… mia madre… avrebbe dovuto sposare il Duca Helmaer Berge, padre del tuo amico Escol. Chissà come sarebbero andate le cose se gli eventi non fossero velocemente precipitati per gli esiliati e… e per tutti noi…”. Escol trasalì. Dettaglio che Kathell Winther notò sicuramente. Il figlio del Duca non era tanto stupito dal fatto che la madre di quella donna avrebbe potuto essere sua madre in un’altra vita, quanto che quell’affermazione non poteva essere vera e siccome quella donna non era certo il tipo di persona che amava scherzare o farsi beffe degli altri, esisteva un’unica altra spiegazione: ella stava coprendo qualche altra più scomoda verità. Infatti Kathell Winther era solo di qualche anno più giovane di suo padre e per quanto i matrimoni tra famiglie nobili venivano molto spesso combinati e quindi la cosa fosse più che possibile, nessuna famiglia avrebbe organizzato un matrimonio dove la differenza di età tra i due coniugi sarebbe stata troppo sbilanciata. Soprattutto se fosse stato l’uomo ad essere di molto più piccolo tra i due. Normalmente questo accadeva per evitare rischi di non avere eredi. Quindi questa storia non poteva reggere, a meno che le cose stessero in maniera leggermente diversa. A meno che lei non si riferisse a sé stessa e non a sua madre! Allora si che avrebbe avuto un senso e avrebbe giustificato questo “alone di malinconia” che l’aveva accompagnata dal momento in cui lui le aveva nominato la casata dei Berge. Escol le sorrise dolcemente e lei aggrottò le sopracciglia, quasi infastidita, come se avesse capito che egli aveva indovinato il suo stratagemma. Poi fece un inchino profondo e le domandò se poteva osare farle un dono prima di andare. Kathell Winther ovviamente accettò con piacere e lui le regalò un fazzoletto di seta con su ricamate le iniziali di suo padre. Egli non le disse nulla in proposito, ma da quel che sapeva era stata proprio sua madre a cucirle, molti anni prima. Sua madre, morta di parto, che non aveva mai conosciuto e di cui suo padre aveva negli anni molto raramente parlato. La nobildonna aveva quasi le lacrime agli occhi, confidando ad Escol che quel giorno, con quel gesto, egli l’aveva resa felice. Contento di averle fatto cosa molto gradita, il figlio del Duca si inchinò di nuovo, ed uscì dalla stanza, raggiungendo dunque Jonas ormai quasi rassegnato. Qui, scortati da una giovane schiava nana di nome Amy Crie, si fecero accompagnare fuori dalla tenuta del governatore. Escol, nel vederla, ebbe un sussulto di rabbia, soprattutto quando notò la bruciatura sulla guancia che caratterizzava il suo ceto sociale. Poi però Amy Crie gli raccontò la sua storia e di come Kathell Winther l’avesse salvata e tolta dalle miniere di sale di Alfnirka. Prima di uscire all’esterno, il figlio del Duca si inginocchiò e le mostrò l’anello che il principe Nainan gli aveva donato e che l’aveva reso di fatto suo pari. Lui era dunque più che un amico dei nani: era uno di loro, un loro principe. Un vero e proprio eroe agli occhi del “popolo basso”. Aiutato da questa sua fama, conquistata con il valore ed il sangue, Escol dunque rivelò alla nana che molto presto le cose sarebbero potute cambiare a Kryseta. Ben presto infatti, Arios avrebbe potuto inviare una o più legioni a presidiare in maniera molto più capillare questa ed altre città e forse questo “cambiamento di rotta” avrebbe potuto causare seri problemi a Kathell Winther. Ecco perché le fece promettere che se le cose si fossero messe davvero male, lei avrebbe dovuto convincere la sua signora a ripiegare verso le terre selvagge e raggiungere quanto prima il maniero dei Berge. Facendo magari tappa, lungo il cammino, alla locanda di Faland per farsi aiutare dalla gente del posto, facendo il nome di Dakkar Astarte. Senz’altro avrebbero trovato persone disposte ad offrirle tutto il supporto possibile! Amy Crie gli promise che avrebbe ottemperato alla sua richiesta: lo giurò sulla sua stessa vita! Quindi Escol si rialzò, le sorrise e finalmente si lasciò condurre all’aria aperta. Tuttavia le novità non erano ancora finite quel giorno, perché un’altra voce femminile, squillante ma ugualmente imperiosa come quella di Kathell Winther, pronunciò più volte il suo nome alle sue spalle.