Dopo che la compagnia ebbe felicemente desinato, Escol ordinò a tutti di rientrare nelle proprie stanze per la notte. Alarien invece, quando capì che era il momento, afferrò il suo arco lungo elfico e raggiunse il figlio del Duca nella sua camera. L’elfa trovò il giovane guerriero ed Eofaulf in piedi al centro della stanza intenti a discutere su come fosse meglio agire. Jonas, sdraiato sul letto, scuoteva invece la testa affranto: assalire la residenza del podestà cittadino non era certo il modo migliore per passare inosservati e quando interpellato non si era trattenuto dal rilasciare commenti assolutamente contrari a quella linea d’azione. Tuttavia Escol sembrava irremovibile. Aveva già cambiato il suo mantello e recuperato la maschera dallo zaino: quella notte “il terrore d’argento” avrebbe liberato i prigionieri e avrebbe mandato un altro segnale importante a Bedde e alle sue legioni di malfattori imperiali. Eofaulf consigliò di utilizzare la finestra della loro stanza per uscire e rientrare, visto che dava su un vicolo buio decisamente meno in vista rispetto a quelli sotto le altre camere della locanda. Inoltre lo scout aveva già studiato un percorso tra le vie più oscure e silenziose di Feland, per arrivare alla casa padronale con meno rischi possibili. Pertanto, ad un preciso segnale di Escol, Alarien calò una corda giù per la strada e raggiunse il suolo in pochi attimi, seguita subito dopo da Eofaulf. Rimasto per ultimo, il figlio del Duca si raccomandò con Jonas di rimanere sveglio e vigile per quando sarebbero tornati. Inoltre, chiese al mercante di allertare anche Hilda e Vala: non si poteva mai sapere come si sarebbero potute mettere le cose laggiù e quindi era sempre meglio prepararsi al peggio. Il giovane guerriero in realtà era un pò preoccupato per una specifica situazione che avrebbe potuto diventare spinosa, ma si sforzava di non farlo vedere troppo ai suoi amici. Quando era sceso nella sala comune infatti, per domandare a Theo dove si trovasse la casa padronale del podestà di Faland, egli non era presente nella locanda. Sua moglie, Gabriel, gli aveva rivelato questa informazione senza problemi, ma aveva aggiunto anche che suo marito era dovuto uscire alla svelta per “svolgere alcune commissioni importanti”. Francamente, visto che erano le dieci di sera passate, questa ad Escol era parsa solo una scusa e anche piuttosto grossolana. Come mai quello strano locandiere, che tutto sembrava fuorché quello che voleva apparire, si era dileguato così misteriosamente nel cuore della notte, senza che nessuno, nemmeno Eofaulf, se ne fosse accorto? Forse aveva mangiato la foglia? Forse era in combutta con gli imperiali e aveva capito quello che lui ed i suoi amici avevano intenzione di fare? Ma se fosse stato così, come diavolo ci era riuscito? Lui ed Eofaulf avevano parlato di nascosto e gli altri erano stati avvisati solo molto tempo dopo e sempre alla larga da occhi ed orecchi indiscreti. Mentre scendeva lungo la corda, il cuore di Escol fu invaso improvvisamente da dubbi ed ansie, non tanto per sé stesso, quanto per i suoi due compagni che forse avrebbe esposto a rischi davvero troppo gravosi. In ogni caso ormai la frittata era fatta: seguendo Eofaulf, il figlio del Duca e l’elfa arrivarono tosto alla residenza del podestà. Nascondendosi tra le ombre, i tre, bisbigliando, ripassarono sommessamente il piano. Davanti al cancello d’entrata c’erano due guardie che andavano assolutamente eliminate senza produrre alcun rumore. Poi ne avrebbero trovate altre due a protezione della porta sul retro della tenuta: anch’esse andavano abbattute velocemente e con meno chiasso possibile, ed infine le ultime due pattugliavano le cantine, ove gli elfi erano tenuti prigionieri. Una volta giunti lì, se avessero potuto disporre dell’effetto sorpresa, non sarebbe stato difficile prevalere su di esse. Quindi la prima ad agire sarebbe stata Alarien, che prese il suo magnifico arco elfico, lo tese allo stremo, puntando ai soldati al cancello d'entrata e si preparò a colpire uno dei due coscritti imperiali. Tuttavia l’elfa esitò più del dovuto. Eofaulf ed Escol si girarono a guardarla, ma ella ripiegò tosto l’arco verso terra, mostrando con il mento un’inaspettata situazione che si stava profilando alla tenuta e che nessuno aveva previsto. Due uomini spuntarono tosto da dietro il vicolo alla destra delle guardie, ciondolando come fossero ubriache. Esse si avvicinarono ai soldati, che certamente non dovevano essere legionari esperti ed addestrati e fingendo di aver bisogno del loro aiuto, li aggredirono con daghe e pugnali sgozzandoli senza emettere un suono! Escol e i suoi amici trasalirono. Chi diavolo erano adesso quegli uomini? Che cosa volevano in nome del cielo? Il figlio del Duca non aveva affatto intenzione di permettere a quei due, chiunque essi fossero, di mandare in fumo i suoi piani. Quindi indossò la maschera e pronunciò la parola di attivazione della magia che circondava tutto il suo equipaggiamento da guerra. Poi si raccomandò con entrambi i suoi amici che nessuno avrebbe dovuto lasciare quel posto se non in fuga e disarmato e di tenere occhi ed orecchi su di lui finché sarebbe stato per loro possibile. Inoltre ordinò di non entrare in nessun caso nella tenuta, ma di ripiegare subito verso la locanda nel momento stesso in cui lui sarebbe entrato nella casa padronale. Indipendentemente se avessero capito che la sortita non avrebbe portato all’esito sperato. Sia Alarien che Eofaulf annuirono non troppo convinti. Poi Escol si avvicinò a grandi passi a quegli uomini e disse: “Io sono il “terrore d’argento”. Abbassate le vostre armi e ritiratevi. Se lo farete, nessuno vi farà del male…” Uno dei due sicari indietreggiò terrorizzato, come se avesse visto un drago in carne ed ossa! Lasciò cadere la sua daga e fuggì in preda al panico. L’altro invece si scoprì il viso dal cappuccio, mostrando chiaramente il suo volto: era Theo, il proprietario della locanda e al suo collo penzolava il ciondolo dell’Ordine! Incredulo, Escol rimase senza parole. Theo gli disse che era lì per salvare i prigionieri elfi (che tra l’altro erano elfi scuri) e per interrogarli: sembrava infatti che avessero delle informazioni molto utili per chi si sforzava di resistere ad “Arios il maledetto”. L’uomo sputò quelle parole tra i denti, ma fece intendere chiaramente ad Escol che esistevano molte cellule di resistenza come quella per tutto l’impero. Persone che rischiavano la vita per ideali di libertà e giustizia, che si schieravano senza paura ed apertamente contro gli editti dell’imperatore e dei suoi infami scagnozzi. Il figlio del Duca riuscì solo ad annuire, poi domandò: “l’uomo che era con te… è … affidabile?” Theo fece una smorfia strana, come di chi non ne fosse più tanto sicuro. A quel punto il “terrore d’argento” fece un segno con la mano e seppe che Eofaulf si sarebbe occupato di questa incresciosa questione. Quindi superò a grandi passi il locandiere, ed entrò nella tenuta. Theo non aveva nessuna intenzione di abbandonare “quell’arma d’assedio corazzata dai colori stroboscopici” da solo, quindi gli andò dietro per nulla intimorito dal suo inquietante aspetto. Quando le altre guardie lo videro, strabuzzarono invece gli occhi per lo stupore e la paura e alla sua solita presentazione intimidatoria, gettarono le armi e fuggirono via senza tirare un colpo. Theo ci mise poi pochi secondi a scassinare la porta e a fare strada per la cantina. Qui trovarono le ultime due guardie. Una si avventò su Escol, nonostante egli l’avesse avvertito di non comportarsi da eroe, ma di fuggire fintanto che ne avesse avuta la possibilità. L’altra invece afferrò l’arma e prese di petto Theo. Il coraggioso coscritto cercò di offrire una qualche resistenza valida all’acciaio incantato del figlio del Duca, ma presto dovette soccombere. Ferito e sanguinante, accettò la resa, ed Escol non ebbe problemi a risparmiarlo. Nel frattempo “il locandiere” aveva affrontato ed ucciso l’altra guardia senza perdere troppo tempo in chiacchiere, ed aveva già preso in custodia i due attoniti prigionieri. Escol lo affiancò, ed insieme i due alleati risalirono le scale ed uscirono velocemente dalla tenuta. Il figlio del Duca disse a Theo che avrebbe lasciato a lui la responsabilità sugli elfi scuri, a patto che avesse sparso la voce che questa sera “il terrore d’argento” aveva agito da solo. Sogghignando, “il locandiere” annuì, sottolineando il fatto che certo non sarebbe andato in giro per la città ad ammettere che era stato lui a farlo. Quindi Escol raggiunse Alarien, ancora ben nascosta tra le ombre del vicolo, chiedendole se oltre ad aver disubbidito al suo ordine diretto di ripiegare, si fosse perlomeno preoccupata di “rallentare” il più possibile la fuga dei coscritti. Candidamente l’elfa rispose che non era sua abitudine gambizzare persone disarmate, così come le risultava impossibile pensare di abbandonare un compagno ad un destino di sofferenza e privazioni. Il figlio del Duca sospirò, poi annuì accettando quella risposta come l’unica possibile da parte sua. Dunque i due raggiunsero tosto la locanda e si riunirono alla compagnia, solo per accorgersi che Eofaulf non era però ancora rientrato. Lo scout ci mise un altro po’ prima di tornare dai suoi amici: aveva degli schizzi di sangue evidenti sul volto. Egli incrociò lo sguardo con Escol per un breve momento ed annuì, come a voler dire che “tutto era stato risolto”. A quel punto tutti tornarono nelle proprie camere e provarono a dormire qualche ora. L’indomani all’alba Jonas fu il primo a scendere nella sala comune, saldando il conto alla locandiera. Vala, Hilda e Eofaulf, andarono invece a preparare il carro e a stipare le provviste per il viaggio. Escol ed Alarien infine si avvicinarono a Theo, apparentemente intento a controllare il suo grosso libro di contabilità e note commerciali. Il locandiere gettò una strana occhiata ad Alarien, come a lasciar intendere che sapesse perfettamente chi fosse celato dietro quel cappuccio, poi alzò lo sguardo, duro come il marmo, ed iniziò una conversazione con Escol piena di doppi sensi e sottintesi. Ovviamente egli non poteva essere certo che “il terrore d’argento” fosse proprio quel giovane guerriero che aveva davanti, ma ne aveva comunque il forte sospetto. Finché, fingendo un mancamento, Escol lo prese per istinto per una spalla per sorreggerlo: a quel punto, utilizzando il linguaggio cifrato dei segni, noto solo ai membri dell’Ordine, gli fece intendere che il suo segreto sarebbe stato al sicuro con lui. Il figlio del Duca decise a quel punto di fidarsi di lui e replicò allo stesso modo, spiegandogli che la sua missione era vitale per il futuro di Eord e che qualunque informazione potesse avere sui movimenti della resistenza, sarebbe stata più che ben accetta. Theo tuttavia lo salutò senza rispondere a questa richiesta, ed Escol ricambiò senza insistere sulla questione. Una volta sul carro, Eofaulf, che era nel frattempo rientrato per vedere che diavolo di fine avesse fatto il suo giovane mecenate, suggerì ad Escol di guardare bene dentro la sua tasca destra. Incuriosito, il giovane guerriero ne estrasse un pezzo di carta arrotolata che recava un corto ma importante messaggio: “gli eserciti sono pronti”. Un avvertimento essenziale ma determinante, probabilmente estorto agli elfi scuri, firmato certamente dallo stesso Theo e che riguardava gli esuli delle terre selvagge. La cosa incredibile fu che Escol non se n’era nemmeno accorto. Fortunatamente Eofaulf aveva però una vista aguzza e dei talenti incredibili, che il figlio del Duca si augurava caldamente di poter utilizzare anche dopo aver raggiunto Selhusvi.