Il gruppo entrò guardingo nella città di Feland e seguì in silenzio Jonas fino alla locanda, dove il mercante era solito alloggiare per la notte quando passava di qui. Alarien era rimasta nel carro per tutto il tempo, finché, arrivati alle stalle, era scesa un pò stizzita e si era mischiata ai suoi amici. L’elfa teneva il cappuccio sempre alto, costantemente calato sul viso e questa necessità di rimanere sempre nell’ombra, sempre nascosta, cominciava a pesarle parecchio. Pur non pronunciando una parola sull’argomento, Escol aveva ben notato che la sua compagna di viaggio era sprofondata in un disagio assoluto, quasi paranoico, divisa tra il rischio costante per la sua incolumità e quella dei suoi compagni di viaggio e la consapevolezza che aveva una missione importante da portare a compimento e che lei non era certo il tipo da tirarsi indietro. La situazione diventava sempre più difficile da gestire per il figlio del Duca: presto avrebbe dovuto prendere una decisione in merito. Comunque, la locanda si rivelò essere assai ospitale, con pochi avventori e un profumo delizioso che saliva dalle cucine. Jonas avvicinò il garzone, ormai non più giovanissimo e gli riferì che aveva un tavolo prenotato e delle stanze già assegnate per lui precedentemente dal proprietario della locanda. Il grassoccio cameriere lo guardò non troppo convinto, poi indicò un uomo seduto davanti al bancone, intento a controllare qualcosa su un grosso quaderno pieno di numeri ed appunti. Theo era il nome del proprietario della locanda, ed egli confermò subito, quasi sgarbatamente al garzone, sia la prenotazione delle stanze, sia il tavolo per il mercante e la sua scorta. I suoi modi apparivano molto duri, quasi marziali, dettaglio che Escol notò quasi subito. Aveva un modo di fare deciso e determinato, di chi non ammetteva repliche riguardo le sue scelte e le sue indicazioni. Infatti l’opulento garzone andò tosto al piano di sopra a preparare le stanze e poi gettò una voce in cucina che c’erano sei nuove bocche da sfamare per il pranzo. Era ancora troppo presto per mangiare, quindi il figlio del Duca domandò ad Hilda di seguirlo in giro per la città per fare rifornimenti. Al giovane guerriero bastò una semplice occhiata fugace ad Eofaulf, per spingere il ranger ad uscire dalla locanda e recarsi immediatamente nella taverna del posto a spargere voci terrificanti sul “terrore d’argento”. Prima di seguirlo però, Escol utilizzò il solito stratagemma per togliere Alarien da eventuali occhi ed orecchie indiscrete nella sala comune, indebitamente interessate a lei. Raccontò dunque a Theo che il loro “giovane amico” si era ammalato giorni prima guadando male un fiume e finendo goffamente in acqua e asserendo che egli ancora non si era ristabilito pienamente. Quindi, se fosse stato possibile, avrebbe ampiamente gradito che il suo pasto, a base di frutta e verdura, venisse preparato e poi consegnato direttamente nelle sue stanze a tempo debito. Theo acconsentì con piacere. Quell’uomo, non più giovanissimo, sembrava però ancora più che nel pieno delle forze: aveva uno sguardo fermo e risoluto, che aveva visto molte volte negli occhi dei combattenti e dei soldati più navigati. Era pertanto molto strano ritrovarli nel proprietario di una locanda in una città imperiale vicino al confine con le terre selvagge. Comunque, egli fu molto gentile anche nel procacciare al gruppo una specie di piccola mappa dei principali negozi e botteghe della città. Tra questi ce n’era uno che spronò Escol a convincere Jonas a fargli visita immediatamente: un carpentiere che riparava e modificava carri e carrozze. Viaggiare in quel modo, costipata dentro un intercapedine microscopica, non aiutava affatto il morale di Alarien, già provato di suo, pertanto forse, con l’aiuto di un professionista del settore, queste condizioni potevano migliorare. Jonas uscì con un’espressione non troppo convinta sulla faccia: a parer suo ampliare quello spazio sarebbe stato praticamente impossibile, ma anche Escol non era tenero quando impartiva un ordine e il mercante non voleva entrare certo in conflitto con lui. Dopo che Alarien poté sfruttare la stanza che il garzone aveva preparato per lei, finalmente Escol si tranquillizzò e, insieme ad Hilda, uscirono per le strade della città. La prima destinazione fu una bottega che incuriosì molto il figlio del Duca: sembrava infatti che ad un alchimista fosse permesso vendere impunemente i propri articoli a Feland! Lui ovviamente non voleva certo lasciarsi scappare l’occasione di rifornirsi di pozioni e ardeva dalla voglia di capire come mai proprio a quel negozio fosse stato concesso di rimanere aperto malgrado gli editti che vietavano tassativamente la vendita di articoli elfici sul territorio imperiale. Pena l’arresto o, peggio, la morte! La commerciante era una donna avanti con l’età, che amava i racconti storici e le rimembranze di un passato ove queste restrizioni non esistevano e gli affari erano molto più fiorenti nella città di Feland. A tal proposito, citò il nonno di suo nonno, commerciante anch’egli, che si era arricchito grazie anche alla possibilità di trattare mercanzie cosiddette “esotiche”, con razze oggi ritenute “nemiche dello stato”. Escol, incuriosito dalla piega che aveva preso la conversazione, domandò candidamente alla donna, perfettamente consapevole quindi dei rischi cui andava incontro, come fosse riuscita a tenere aperta la sua attività. La mercante sorrise comprensiva e spiegò subito al figlio del Duca la natura dell’equivoco. “Alchimia” non era un termine che definiva solo gli elisir creati dagli elfi, di natura magica dunque. Prima di tutto “l’alchimia” era una scienza, che studiava la natura delle cose, la loro intrinseca struttura. In pratica, essa spiegava come, combinando erbe, piante e altre cose simili, si potevano creare unguenti ed intrugli, che aiutavano il corpo a guarire o a proteggersi dal caldo o dal freddo per esempio. Per realizzare queste pozioni non serviva necessariamente utilizzare un intervento arcano, bastava solo mescolare nel giusto modo queste sostanze tra di loro. Certo, la magia rendeva molto più potenti questi elisir, ma questo era un altro discorso. Escol annuì, felice di aver appreso qualcosa di utile quel giorno. Tuttavia, la donna gli fece intendere tra le righe che se avesse avuto bisogno di qualcosa di meno “scientifico” e di più “magico”, lei avrebbe potuto aiutarlo. Ovviamente, Escol approcciò a quell’argomento con estrema cautela, visti i rischi che esistevano nel trattare quel genere di articoli, tuttavia la donna agì con estrema discrezione e alla fine rifornì il figlio del Duca di ben tre pozioni di guarigione! Non furono acquisti a buon mercato: il giovane guerriero pagò quelle tre fiale a peso d’oro, ma ritenne che ne valesse la pena, visti i rischi che avrebbe dovuto affrontare durante il suo cammino. Ringraziando di tutto la commerciante, si ritirò soddisfatto, insieme ad una taciturna Hilda, fuori dal negozio. Senza perdere tempo i due si recarono poi all’emporio della città, dove poterono acquistare provviste sufficienti per loro e per i cavalli. Inoltre, solitario su uno scaffale, Escol scovò un oggetto strano ed insieme interessante: un anello d'argento con sigillo, di un’antica casata Nordhmenn ormai estinta da tempo: gli Evangaard. Parlando un pò con il mercante, egli ammise che a dargli l’anello era stato un uomo non più giovanissimo, di chiare fattezze Nordhmenn, che l’aveva barattato per delle provviste per un viaggio ad est che sarebbe stato molto, molto lungo. Escol provò a scoprire di più su chi fosse questo individuo o quale fosse il suo nome, ma il mercante non seppe dirgli altro. I due trattarono un pò sul prezzo, ma alla fine il figlio del Duca ottenne il massimo e lo acquistò. Non sapeva bene il perchè: Hilda infatti lo guardava un pò perplessa mentre mercanteggiava con il negoziante, ma Escol era sicuro che il compito di quell’anello non era quello di languire su uno scaffale pieno di polvere, ma di tornare dal suo legittimo proprietario che, non sapeva bene come, sentiva che avrebbe prima o poi ritrovato lungo il suo peregrinare per l’impero. Depositò dunque con cura l’anello in un sacchetto di stoffa che aveva alla cintura, pagò, recuperò le vettovaglie e continuò il suo tour per le botteghe della città. Tuttavia, gli altri negozi non offrirono nulla che catturò la sua attenzione e dunque i due amici tornarono in locanda giusto per pranzo, senza perdere altro tempo nel girovagare per la città. Nel frattempo Eofaulf era tornato dalla taverna, così come Jonas. Lo scout riferì che era sicuro di aver parlato con estrema enfasi del “terrore d’argento” alla gente del posto e riteneva che loro avessero afferrato il concetto adeguatamente. Jonas invece rivelò che si poteva far ben poco per il carro e per la sua intercapedine. Aveva chiesto al carpentiere di fare il possibile, ma c’era un limite a quello che materialmente anche un falegname esperto avrebbe potuto fare con quel poco spazio a disposizione. Escol non fu contento per ciò che Jonas gli aveva riferito: voleva davvero far qualcosa per risollevare un pò l’umore di Alarien, ma evidentemente il destino avverso non aveva alcuna intenzione di favorirla. Poco prima di ordinare da mangiare però, Eofaulf si avvicinò ad Escol e gli sussurrò all’orecchio che in città c’erano delle voci insistenti che forse avrebbero potuto interessargli molto. Il figlio del Duca si alzò, ed insieme al ranger raggiunsero un punto della locanda dove avrebbero potuto parlare abbastanza liberamente. In poche parole, sembrava che alcuni legionari, guidati da un pericoloso inquisitore, avevano catturato due spie elfiche poco fuori città, che avevano poi momentaneamente confinato nella residenza privata del podestà cittadino. Sarebbero tornati a prenderli entro un paio di giorni, per scortarli poi alla città di Selhusvi e riunirli agli altri prigionieri e spie che avevano rastrellato per tutto l’impero. Escol batté forte un pugno sul palmo dell’altra mano, esclamando con enfasi crescente che questo fatto rappresentava un vero colpo di fortuna per far conoscere alla città e all’inquisitore la forza e il potere del “terrore d’argento”! Un piano iniziò a disegnarsi chiaramente nella sua testa, ma prima di discuterne con Eofaulf e gli altri, avrebbero fatto bene a mangiare e a riposarsi un po' per un paio d’ore. Quindi scesero dabbasso e parlarono con la cuoca: una donna giovane e bella di nome Gabriel, moglie del padrone della locanda. Ella raccolse velocemente le ordinazioni e preparò, come aveva fatto per il pranzo, il pasto anche per il “giovane malato” al piano di sopra. Cosicché Escol poté portarglielo personalmente, ed avvertire Alarien di prepararsi per l’imminente sortita. Infatti questa volta “il terrore d’argento” non sarebbe andato da solo, ma supportato dal suo arco e dai pugnali di Eofaulf. Inutile dire quanto Alarien fosse stata contenta del compito che Escol le aveva assegnato, segno che l’elfa era tutt'altro che depressa, ma solo bisognosa di azione e di sentirsi finalmente utile per il gruppo!