Escol rimaneva in testa alla carovana con piglio risoluto: aveva avvistato la città di Grenesvik già da qualche minuto e non voleva assolutamente cali di concentrazione all’interno della sua compagnia. Tuttavia, già quando entrarono nella periferia della città, non pareva fosse presente un clima marziale, con ronde di legionari che sciamavano in lungo ed in largo alla ricerca di dissidenti da impiccare. Quando poi scoprirono che Grenesvik non aveva né mura di cinta, né soldati a presidiare cancelli invisibili, furono costretti a realizzare una indubitabile ed incontrovertibile constatazione: questo posto, come probabilmente molti altri entro i confini dell’impero, non aveva alcuna difesa, né barricate di sorta a protezione della stessa! Inoltre, il numero di miliziani che avevano scorto per le vie della città, mentre Jonas li stava conducendo alla locanda ove sempre amava sostare quando passava di qui, non sarebbero certamente bastati a contenere la loro furia, figuriamoci quella di un intero esercito d’invasione! Questo significava che le storie che suo padre gli aveva raccontato riguardo l’impero erano tutte vere: la presenza della malavita locale era pressoché nulla, visti i continui controlli a tappeto in lungo ed in largo per i territori imperiali, così come i saccheggiatori, i briganti e gli allibratori, invece normalmente presenti in ogni strada buia o periferia delle città nelle terre selvagge. Tutte queste inconfutabili verità, rendevano dunque inutile qualunque baluardo di tipo coercitivo o di natura preventiva e scoperchiavano degli scenari decisamente diversi nella mente di Escol, così da sempre fermamente avversa ai dogmi e ai criteri egemonici e dispotici che aveva incautamente affibbiato all’impero. Forse allora non era esso il vero problema, nonostante le contraddizioni e le problematiche di natura ideologica che inevitabilmente portava con sé, quanto piuttosto l’imperatore stesso! Ed era altrettanto probabile che questa riflessione, che gli era passata per la testa come un fulmine a ciel sereno, venisse condivisa da molta gente del posto. Magari anche dai legionari stessi. Forse “L’impero” non era un’espressione del pensiero di Arios, ma un’idea indipendente, di grandezza e controllo, che andava preservata dalle persone i cui parenti, ormai andati da tempo, erano morti a migliaia per essa e ancora oggi conservata, col passare dei secoli, al di là di lui e a prescindere da lui. Forse addirittura “nonostante lui”. Un’idea di rettitudine, giustizia e disciplina, di cui “il maledetto” era solo una rappresentazione corrotta e malata. Forse l’impero aveva vissuto soltanto un momento di debolezza, ed Arios era stato colui che era riuscito a sfruttare quella debolezza per trovarsi oggi nel posto in cui sfrontatamente si trovava. Perso in queste solitarie considerazioni, neanche si era accorto che Eofaulf aveva condotto i cavalli nelle stalle della locanda o che Jonas si era preoccupato di trovare un tavolo e delle camere per la notte. Il giovane garzone Idell poi, si prodigò più che poté per accontentare le richieste del mercante e anche quelle dello stesso Escol, che presentò Alarien come un “compagno molto malato e bisognoso di cure, che aveva estrema necessità di raggiungere tosto la sua camera per potersi sdraiare e riposarsi a causa del lungo ed estenuante viaggio che lo aveva spossato oltremodo”. Lo stratagemma del figlio del Duca serviva ovviamente per togliere da sguardi indiscreti la sua compagna elfa che, malgrado imbacuccata ed irriconoscibile, rappresentava comunque un pericolo continuo per l’intera compagnia. Vala si prodigò poi per ordinare cibo a base di carne, bevande anche per i suoi compagni e verdure e frutta per la sua nuova amica al piano di sopra e Escol di consegnarle tosto il vassoio. Con l’occasione, il giovane guerriero domandò ad Alarien di puntare gli occhi sulle strade per notare qualunque cosa che potesse risultarle strana o degna di attenzione. Inoltre il figlio del Duca ordinò ad Eofaulf di visitare l’altra taverna presente in città, per scoprire qualche informazione utile per il proseguo del viaggio e, con il pretesto, cominciare a mettere in giro voci sul “terrore d’argento”: il guerriero implacabile e misterioso che aveva iniziato a spargere morti e paura presso gli imperiali. Lo scopo di Escol era chiaro: nel momento in cui Bedde avesse saputo di “Dakkar” e del suo seguito, intento a percorrere un cammino attraverso l’impero per svolgere una missione che ancora non conosceva, avrebbe avuto lo spauracchio di quest’altro vendicatore mascherato pronto a rompergli le uova nel paniere. Ecco perchè avrebbe continuato ad usare quello pseudonimo fino alla loro mèta: perché da quel punto in poi “Dakkar Astarte” sarebbe semplicemente scomparso! Escol avrebbe cambiato nome e il “terrore d’argento” avrebbe seguito un percorso diverso che, si augurava, l’avrebbe condotto da Kail senza avere troppe spie imperiali sul suo cammino. Sarebbe stato vitale dunque tener debitamente separati i suoi due alter ego e la necessità di sbrigarsi diventava a questo punto davvero impellente, così come quella di rimanere in queste cittadine di frontiera il meno possibile: più tempo perdeva infatti, più Aelald. avrebbe avuto la possibilità di avvertire il suo signore e sventare così il suo piano. Escol cercò di coinvolgere il giovane Idell, allungandogli un paio di monete d’argento per rispondere alle sue domande, ma fu l’ostessa, un’anziana Nordhmenn di nome Ebree Ostur, che gestiva praticamente da sola la locanda del “Nano Rosso”, a sobbarcarsi questo non facile onere. Dopo aver mangiato infatti, Eofaulf si mosse per ottemperare alla richiesta di Escol, mentre il giovane guerriero dell’Ordine rimase a confabulare con l’ormai attempata padrona della locanda. In poche parole ella gli riportò, non senza un pò di fatica e dubbi sul perchè di quelle domande, alcune informazioni piuttosto allarmanti: erano infatti stati emessi degli editti imperiali piuttosto restrittivi rispetto al solito e tutti quanti sembravano mossi da una sola motivazione: l’aspra e ormai imperitura guerra contro gli elfi! Pareva che diverse spie fossero state, nei mesi precedenti, intercettate e catturate da parte delle legioni di Arios. Alcune erano state uccise sul posto, altre portate in catene nella città di Selhusvi. La cosa peggiore però era stata che molti residenti, in questa ed altre città vicino al confine, avevano “aiutato” gli elfi ad entrare ed uscire e a far filtrare informazioni fino al sud e alle città assediate. Per questo motivo Arios aveva adottato queste misure estreme, dove la più pericolosa per la loro compagnia era certamente che nessuno avrebbe potuto circolare per l’impero senza mostrare il proprio volto chiaramente. Pena, l’arresto immediato! Insomma, Alarien poteva diventare molto presto un grattacapo ancor più pesante, per Escol ed i suoi amici, di quanto non lo fosse già adesso. Le pungenti parole di Ebree divennero ancor più latrici di potenziali pericoli, quando Alarien rivelò al figlio del Duca quello che aveva notato spiando le strade della città per alcune ore. Non c’erano nativi in giro, ma solo milizia, mercanti e stranieri! Questo significava che in effetti qualche legge marziale esisteva a Grenesvik e riguardava la gente del posto: potenziali cospiratori, amici degli elfi, che andavano tenuti sotto controllo con editti stringenti e asfissianti. Anche Eofaulf, di ritorno dalla taverna, confermò questo clima rigido esistente per i nativi, aggiungendo che il podestà cittadino era stato sostituito da poco con uno non del posto e che probabilmente quest’ultimo era molto meno propenso a fare gli interessi di Grenesvik rispetto al precedente. Anche la milizia stessa era composta da persone estranee a Grenesvik, motivo in più per fare qualche rifornimento veloce e poi ripartire l’indomani mattina di buona lena. Pertanto Escol, un paio d’ore prima di cena, ordinò ai suoi uomini di attendere il suo ritorno dall’emporio della città, così da mangiare con calma e poi preparare un piano d’azione per la partenza del giorno dopo. Nessuno ovviamente ebbe nulla da obiettare e dunque lui e Jonas imboccarono la via principale per arrivare a destinazione in pochi minuti. Escol sapeva bene che non era certo il caso chiedere pozioni elfiche o altri intrugli del genere al proprietario dell’emporio, visto che uno degli editti insindacabili del nuovo podestà era che, praticare o anche solo avvicinarsi alla magia elfica, rappresentava un’attività punibile con la morte, però non si poteva mai sapere: magari quel negozio poteva avere comunque qualcosa di interessante da offrire oltre alle provviste e dunque valeva la pena dare lo stesso uno sguardo agli scaffali. In effetti, qualcosa di piuttosto inusuale e interessante il figlio del Duca ed il suo amico mercante rinvennero girovagando per il negozio. Qualcosa che, pescare in un comune emporio, rappresentava una rarità assoluta ed una coincidenza molto strana su cui riflettere.