Eofaulf accompagnò Escol fin dietro a degli alti cespugli, che fronteggiavano un rozzo edificio piantonato da due guardie all’apparenza imperiali. Lo scout mostrò con l’indice l’accesso ove aveva visto che la spia, che aveva pugnalato Hilda, era entrata qualche ora prima, ma non seppe dire quanto tempo vi fosse rimasta e chi avesse incontrato all’interno. Egli infatti aveva preferito ripiegare quasi subito, attenendosi agli ordini ricevuti. Escol annuì e ringraziò il ranger per il prezioso lavoro: solo in pochi sarebbero riusciti a ritrovare le tracce di quella dannata spia, in mezzo al caos e alla folla che sciamava continuamente per le strade di Flutovund. Eofaulf ringraziò a sua volta il compagno, ma aveva iniziato a guardarlo assai perplesso mentre rovistava nello zaino, senza capire minimamente cosa avesse intenzione di fare. Quando estrasse la maschera e il mantello e li indossò senza dire una parola, la sua curiosità raggiunse picchi davvero altissimi. Soprattutto perché il giovane guerriero aveva tutta l’aria di non essere andato lì per una ricognizione, ma per una vera e propria rappresaglia. Poi Escol sguainò con un solo gesto la sua incredibile spada elfica, ed imbracciò il suo mistico scudo, perfettamente temprato. Quindi pronunciò una singola parola, che fu come una pugnalata nel silenzio di quella piccola macchia di siepi e cespugli: “Enwel”, disse. In questo modo attivò contemporaneamente tutta la magia infusa nel suo equipaggiamento da guerra. La lama, lunga e affilata, leggermente ricurva, iniziò ad emettere fulgidi bagliori guizzanti, come di piccoli fulmini che danzavano avanti e indietro lungo tutto il suo filo. Lo scudo metallico, grigiastro e perfetto, lo avvolse invece in un fulgore bluastro, rendendo quasi indistinguibile il suo vero aspetto e facendolo apparire più simile ad una figura eterea, soprannaturale: una specie di spettro in armatura. Infine l’armatura stessa, di scaglie lucenti, creava di continuo attorno a lui alcuni riflessi davvero spettacolari: il rubino infatti, che aveva incastonato sul pettorale sinistro, iniziò a far fuoriuscire un’energia cremisi, che si andò a fondere con gli altri riverberi, aggiungendo un aggressivo sottofondo rosso sangue, che certamente non ingentiliva il risultato finale. Di Escol rimase una figura alta, minacciosa e massiccia, che quando si spostava portava con sé un arcobaleno di colori e di bagliori aggraziati e soprannaturali, che avevano nell’argento della maschera e del mantello l’effetto visivo dominante. Anche la sua voce, viziata per l’appunto dalla bizzarra bauta, che ne attutiva e modificava il suono, appariva sinistra e inquietante. Le poche parole che il figlio del Duca pronunciò ad Eofaulf furono di ripiegare ed affiancare l’elfa nel suo prezioso lavoro di recupero di informazioni, utili per la partenza imminente. Lui li avrebbe presto raggiunti alla locanda, con la testa della spia in un sacco! Perplesso, il ranger provò a spiegargli che non c’erano solo quelle due guardie a protezione della struttura, ma diverse altre e che non sarebbe stato molto saggio per lui provare ad affrontarle tutte insieme senza almeno il suo supporto. Escol apprezzò la premura del compagno, ma fu irremovibile su questo punto: sarebbe andato lì dentro da solo e avrebbe portato in questo modo tra gli imperiali che li stavano braccando un messaggio importante: il “terrore d’argento” li avrebbe uccisi tutti se avessero provato ad intralciarlo! Eofaulf non sapeva se essere più sorpreso o più confuso udendo quel distopico discorso. Ancora non aveva capito bene se quel ragazzo era solamente un pazzo, destinato a subire molto presto una morte orribile, oppure un guerriero formidabile, che avrebbe potuto davvero impensierire da solo le forze imperiali. Certo, vedendo il suo aspetto in quel preciso momento, avrebbe proteso per la seconda ipotesi, ma esisteva sempre una linea sottile tra la follia e il coraggio. Tra audacia e imprudenza. In ogni caso, l’avrebbe scoperto presto. Annuendo non troppo convinto, Eofaulf scivolò indietro oltre i cespugli, sparendo velocemente alla vista di Escol. Il figlio del Duca lo seguì con lo sguardo finché poteva, poi fece un bel respiro e uscì allo scoperto, spada e scudo alla mano! Le due guardie non ci misero molto a notarlo e gli intimarono subito l’alt. Ovviamente il giovane guerriero lo ignorò, continuando ad avvicinarsi a loro con fare minaccioso. Giunto a pochi metri, puntò la spada brillante verso l’entrata e disse: “Non sono venuto qui per nuocervi: gettate le armi, andate via e avrete salva la vita.” Sfortunatamente i soldati non accolsero l’invito di Escol e allora il guerriero dell’Ordine fece loro assaggiare il suo acciaio folgorante. Uno dei due cadde esanime quasi subito, mentre l’altro rimase in piedi un po’ di più. Il figlio del Duca implorò il soldato di arrendersi: non era ancora tardi per salvarsi la vita. Tuttavia egli non volle abbandonare la pugna come un codardo e quindi Escol, a malincuore, fu costretto ad abbatterlo. Prima di entrare nell’edificio, il giovane guerriero mascherato si voltò lentamente ad osservare i due uomini che aveva appena schiantato a terra in un lago di sangue, accorgendosi che uno di loro era ancora vivo. Abbassò la testa per un breve attimo, indeciso sul da farsi, poi optò per salire i pochi gradini che lo separavano dall’ingresso. Richiamati dal clamore, anche se breve, che si era consumato all’esterno, due grossi barbari armati fino ai denti e un altro soldato, abbigliato in maniera molto simile alle guardie di fuori, accorsero armi in pugno verso l’uscio, incontrando così il “terrore d’argento”. Egli alzò la punta della spada sfrigolante verso di loro, avvertendoli, con voce ovattata che dava un aspetto decisamente solenne alle sue parole, che quello sarebbe stato il giorno in cui tutti loro sarebbero morti. Tuttavia, se avessero gettato le armi e fossero andati via subito, ne sarebbero usciti incolumi. Il soldato tentennava, soprattutto quando Escol riferì che una delle guardie di fuori era ancora viva, ma bisognosa di cure immediate. I barbari invece lo aggredirono con le loro asce e la loro ferocia, ma il loro acciaio scivolava sulla mistica armatura e lo scudo incantato del giovane guerriero, producendo scie di colori blu e cremisi. Quando il figlio del Duca combatteva, mulinando la spada, colpendo, schivando e parando, era davvero impressionante: sia per la sua bravura, sia per l’immagine di sé che generava con il suo solo movimento. Produceva infatti un insieme di colori che riuscivano a confondere i suoi avversari. I due barbari lo sperimentarono sulla propria pelle, cadendo esanimi in pochi secondi senza nemmeno capire cosa li avesse ammazzati. Fortunatamente per lui, alla vista di quella scena raccapricciante e quasi stroboscopica, l’altro soldato aveva abbandonato l’arma ed era corso fuori terrorizzato. Escol lo seguì con gli occhi, ma non lo colpì: non aveva desiderato fare quella carneficina, ma mettere le mani su quella dannata spia prima che fosse troppo tardi era davvero troppo importante. Finito il combattimento, si guardò intorno alla ricerca di qualche altro incauto avversario da affrontare o magari, se fosse stato fortunato, della sua preda finale. Il resto della struttura sembrava però vuota. C’era solo un’altra stanza davanti a lui, ma l’illuminazione era troppo fioca per riuscire a scorgere qualcosa all’interno. Cautamente, Escol si avvicinò ad essa di qualche passo. Tuttavia le sorprese non erano ancora finite quel giorno: una figura ammantata di nero, uscì letteralmente dalle ombre alla sua destra e si avvicinò lentamente a lui. Il figlio del Duca alzò di nuovo la sua implacabile katana verso quel nuovo, sinistro avversario e disse: “Arrenditi subito e lascia questo posto. In cambio avrai salva la vita!” L’esile figuro si arrestò, come se volesse soppesare le sue parole, ma anche il potere di chi le aveva pronunciate: stava cercando di capire se quel guerriero argentino fosse davvero in grado di realizzare quella minaccia. Poi schioccò le labbra e rispose calmo: “Sicchè tu saresti quel Dakkar…”. Escol cercò di dissimulare la sorpresa, rispondendo più naturalmente che gli fu possibile: “Non so chi sia costui. Io sono il “terrore d’argento” e sono qui per uccidere il tuo signore. Dov’è? Dimmelo e vivrai.” Il misterioso uomo ammantato, che aveva tutta l’aria di essere un oscuro incantatore, attese qualche attimo prima di replicare. Poi replicò: “Se non sei Dakkar, allora non ti importerà nulla del dono che Aelald ti ha lasciato in quella stanza. Peccato, tanto lavoro per niente.” Escol voltò il capo mascherato verso la stanza in penombra, poi a grandi passi varcò la soglia assistendo ad uno spettacolo davvero orribile. Inchiodata ad una parete, c’era Vala, con i vestiti a brandelli e completamente ricoperta di sangue! Il figlio del Duca la raggiunse in un attimo. Rinfoderò la spada e più delicatamente che gli fu possibile, la staccò dalla parete. Le urla della sua amica per il terribile dolore riecheggiarono nella sua testa per diversi giorni a venire. Poi la adagiò sulle sue ginocchia e le versò in bocca una pozione di guarigione che, questa volta e per fortuna, fece per intero il suo lavoro. Tuttavia Vala aveva perso molto sangue e necessitava di altre cure e di riposo. Quindi Escol si tolse il mantello, la avvolse per intero con esso e la prese in braccio. Nei pochi attimi di lucidità che ebbe la sua amica, che era consapevole che lui era venuto a salvarla, gli giurò che non aveva detto nulla sul suo conto, che aveva tenuto la bocca chiusa, ma ovviamente non era a questo che stava pensando il giovane guerriero in quel momento, ma solo allo strazio temendo che lei aveva dovuto sopportare per colpa sua. Uscì come una furia dalla fattoria, trovando il soldato che era fuggito dall’interno, intento a soccorrere il compagno in fin di vita. Il guerriero dell’Ordine fu tentato di cedere all’ira e trucidarli entrambi sul posto, ma riuscì a trattenersi, a patto che la guardia imperiale gli fornisse delle informazioni. Gli disse chiaramente che non aveva l’abitudine di venire meno alla parola data, ma rivelò che lo scempio che era stato operato su Vala aveva messo a dura prova la sua proverbiale integrità morale. Quindi prese una pozione d’ambra e l’offrì al soldato, a condizione però che egli mostrasse verso di lui quella stessa qualità etica, rispondendo sinceramente alle sue domande. Non ritenendo di avere molta scelta vista la situazione, la guardia, scossa ed impaurita, garantì alla fine ad Escol le seguenti informazioni: il nome della spia che aveva pugnalato Hilda era veramente Aelald Il mandante dello scempio che era stato operato su Vala era rappresentato da una figura, sinistra e sfuggente, che rispondeva al nome di Atham Bedde. Il loro scopo a Flutovund era quello di identificare in città eventuali rivoltosi, avversi all’impero, quindi arrestarli e, in estremi, rarissimi casi, perfino torturarli o ucciderli. Tuttavia il soldato non aveva davvero idea dove fosse andato Aelald, probabilmente a fare rapporto a qualcuno, forse a Bedde stesso, ma egli non sapeva ove il braccio destro di Arios avesse la sua dimora o uno dei suoi covi. Escol gli credette, lasciando infine che il soldato potesse curare il suo compagno. Tuttavia, prima di lasciare per sempre quel luogo, imbrattato di sangue e cadaveri, ordinò alla giovane guardia di memorizzare bene un messaggio che avrebbe dovuto riportare ai suoi superiori, qualora avesse avuto ancora desiderio di servire dei torturatori e pugnalatori di donne. Il messaggio era il seguente: “Il “terrore d’argento” verrà per voi. Per tutti voi. Vi ucciderà ad uno ad uno, finché le terre di Eord saranno state definitivamente liberate dal sudiciume della vostra stessa presenza!” Escol domandò da dietro la maschera se l’uomo avesse memorizzato bene il messaggio e notando il terrore che aveva negli occhi, ritenne che fosse molto probabile. Quindi si chinò, accolse di nuovo tra le braccia la sua amica Vala e, dopo essersi tolto la maschera e disattivato i suoi congegni magici, si diresse finalmente ai cancelli est della città. Nonostante il prezzo molto alto, ritenne di aver lanciato un chiaro messaggio quel giorno, a Bedde e a tutti i suoi sicari sparsi per il territorio. Da quel momento in poi anche loro avrebbero dovuto temere un nemico invisibile ed implacabile, ed avrebbero dovuto mostrare molta più cautela prima di pugnalare o rapire le persone per strada, oppure avrebbero finito per pagare un conto davvero molto salato!