Escol si precipitò dalla compagna mezzelfa, sofferente a terra. Hilda teneva la schiena appoggiata ad un muro e la mano premuta su una larga e scomposta ferita ad un fianco. Il sangue scorreva a fiumi e aveva già formato una piccola pozzanghera accanto a lei. Il figlio del Duca le diede alcuni leggeri colpi sul viso per farle aprire gli occhi. Poi le versò direttamente in bocca una delle sue pozioni di guarigione più potenti. Tuttavia non poté ancora rilassarsi, perché capì subito che c’era qualcosa che non andava: la ferita continuava a sanguinare, segno che la pozione non era riuscita a fare per intero il suo lavoro! Sconvolto per una cosa che non aveva mai visto prima, Escol girò gli occhi verso Eofaulf, cercando il suo consiglio. Prima di sparire tra i vicoli della città, nella speranza di ritrovare le tracce della spia imperiale, lo scout si accovacciò accanto al giovane guerriero e bisbigliò affranto che Hilda era stata pugnalata, a suo parere, con un coltello maledetto: un’arma oscura, e sinistramente incantata, che impediva a qualunque lacerazione di richiudersi seguendo metodi naturali o soprannaturali. Solo un grande potere mistico o una magia elfica guaritrice poteva sperare di vincere tale infido sortilegio. Nel frattempo Escol fece bere un altro dei suoi elisir ristoratori alla dolorante mezzelfa, che lì per lì pareva riprendersi, per poi riafflosciarsi tra le sue braccia, quasi perdendo i sensi per le forze che le venivano a mancare. Il giovane guerriero la prese allora in braccio e si affidò alla bravura di Eofaulf per ripescare i movimenti del sicario e scoprire dove fosse diretto. Velocemente i due si separarono, l'uno diretto ai cancelli est della città, l’altro al Tempio di Flutovund. Correndo all’impazzata, con il suo fardello tra le braccia sospeso tra la vita e la morte, Escol fece letteralmente irruzione nel Tempio cittadino, gridando aiuto a gran voce. Fortunatamente era molto tardi e quindi in pochi si accorsero della sua presenza, tra cui un officiante di nome Ari. Egli invitò immediatamente Escol, una volta che si rese conto della gravità della situazione, a seguirlo nei piani alti della struttura. Poi spalancò una porta e ordinò al giovane Nordhmenn di adagiare la ragazza su un modesto letto sul lato est della stanza. C’era sangue dappertutto: l’emorragia non voleva davvero saperne di fermarsi, nonostante il figlio del Duca avesse costretto Hilda a bere una terza pozione di guarigione qualche secondo prima. Gli elisir l’avevano tenuta in vita fino a quel momento, ma la giovane sarebbe morta se qualcuno non avesse presto fatto qualcosa di altamente risolutivo. Ari iniziò ad armeggiare con erbe, radici e spezie, fino a creare un intruglio dall’aspetto fangoso, che si apprestò a spalmare copiosamente sull’orrenda ferita ancora aperta sul fianco della mezzelfa. Rendendosi molto presto conto che nemmeno il suo preparato avrebbe funzionato a fermare la fuoriuscita di sangue, abbassò tristemente gli occhi, scuotendo la testa con sincera afflizione. Escol non riusciva a credere che per Hilda non ci fosse più nulla che il prete potesse fare per salvarle la vita, ma prima che potesse reagire facendo qualcosa di molto stupido e molto avventato, una figura vestita con un semplice saio scuro, entrò tosto nella stanza. Ari sembrava strabiliato dalla sua presenza: pareva che avesse visto una creatura divina o semi divina, apparsa come per magia in quella camera! Balbettando qualcosa di inintellegibile, che avrebbe dovuto essere probabilmente un saluto reverenziale e inchinandosi a lui con profondo rispetto, accolse subito il suo invito ad uscire dalla camera e a portarsi dietro Escol che, a quel punto, non stava capendo più niente. Il giovane guerriero aveva domandato più volte al sacerdote chi fosse quell’uomo, completamente glabro e dall’età indefinita, che pareva venerare come un dio, ma Ari sembrava caduto in estasi, totalmente assorto nella preghiera. In effetti, quando quell’uomo gli era passato vicino, Escol aveva avvertito una strana sensazione di profonda pace, ma era talmente tanta la preoccupazione per la salute di Hilda, che non si era interrogato più di tanto sull’argomento. Dopo qualche altro intenso secondo era quasi sul punto di rientrare in camera per vedere cosa stesse succedendo, quando una bassa nenia, melodiosa e costante, iniziò a salire da dietro la porta. Ari gli mise la mano sulla sua e sorrise, invitandolo a ripensarci e alla fine il giovane guerriero lasciò andare il pomello della porta, fidandosi per istinto del giudizio del prete. Passarono alcuni minuti, poi l’uomo glabro uscì dalla stanza, rassicurando Escol che era per fortuna riuscito a fermare l’emorragia della sua amica, ma che ella non era ancora fuori pericolo. Avrebbe dovuto vegliare su di lei tutta la notte, somministrandole periodicamente una pozione di guarigione ogni tre ore, sperando che il suo corpo fosse stato sufficientemente forte per recuperare dal terribile trauma che aveva subito. Il figlio del Duca annuì, poi si precipitò vicino al letto ove finalmente Hilda sembrava riposare serena. Prima di sparire tra i corridoi del Tempio, l’uomo glabro offrì un sibillino consiglio ad Escol: “Prenditi cura di lei, giovane Nordhmenn o non riuscirai mai a portare a termine il tuo compito…” Anche questa volta, il rampollo dei Berge era troppo emotivamente coinvolto nella precaria situazione di salute in cui ancora verteva Hilda, per inquadrare quell’osservazione nel giusto contesto. Registrò pertanto quella frase in un angolo della sua mente e si concentrò solamente sulla mezzelfa. Fu la notte più lunga della sua vita, ma quando albeggiò e Hilda aprì i suoi occhi verdi, Escol le sorrise teneramente, esalando un lungo sospiro di sollievo: la sua amica ce l’aveva fatta e sarebbe certamente sopravvissuta! Lei gli sorrise di rimando, raccontandogli a stento com’erano andati i fatti: aveva cercato di sedurre la spia, ma egli aveva invero subito scoperto le sue intenzioni e aveva lasciato la locanda. Lei l’aveva seguito per un pò, ma poi qualcosa o qualcuno l’aveva aggredita, pugnalandola e lasciandola da sola a morire in mezzo alla strada. La rabbia crebbe in maniera esponenziale nella mente e nel cuore di Escol, che accarezzò con dolcezza l’amica e la invitò a riposare. Hilda obbedì, felice che il suo signore l’avesse salvata di nuovo, che fosse rimasto per lei. Quando la giovane chiuse gli occhi, abbandonandosi ad un sonno ristoratore, il figlio del Duca si alzò e come un uragano uscì dal Tempio per tornare nella locanda. Quando irruppe all’interno, Jonas, Alarien, ed Eofaulf, si alzarono in piedi, oltremodo sollevati di rivederlo sano e salvo. Il giovane guerriero fece un rapido riassunto di ciò che era riuscito a fare portando Hilda al Tempio, aggiungendo che la sua amica mezzelfa era stata curata e presto si sarebbe ripresa. Tutti si rilassarono un poco, anche se le loro facce erano ancora piuttosto torve, soprattutto quella di Eofaulf. Il ranger infatti, rivelò ad Escol che la spia imperiale si era recato in una costruzione poco fuori l’uscita est della città, laddove sorgevano alcune fattorie e strutture adibite alla raccolta del grano e del latte. L’aveva visto entrare in uno di quegli edifici, poi aveva preferito ripiegare per fare rapporto. Escol annuì, complimentandosi con lo scout per l’ottimo lavoro eseguito. Quindi si apprestò a fornire alcune precise disposizioni ai suoi compagni, durante il tempo che avrebbe impiegato per andare a far visita a questo gentile signore e tornare indietro con la sua testa. Dichiarò fermamente che non cercava in questa specifica azione alcuna vendetta o rivalsa, voleva solo evitare che quella spia parlasse con qualcuno dell’impero e potesse compromettere la sua missione ancor prima di poterla iniziare. Alarien e Eofaulf si offrirono volentieri di andare con lui, ma Escol preferì che seguissero gli ordini che avrebbe adesso impartito loro. Jonas sarebbe andato al Tempio per assistere Hilda fino al suo ritorno. Alarien invece avrebbe sondato il terreno, sfruttando le sue conoscenze e i suoi acuti sensi elfici per carpire informazioni o eventuali cospirazioni in atto contro di loro. Eofaulf l’avrebbe infine scortato a destinazione, per poi ripiegare ed assistere la neo compagna elfa in questo prezioso e delicato lavoro di controspionaggio. Poi si sarebbero rivisti alla locanda e avrebbero deciso la loro prossima mossa. Eofaulf schioccò le labbra, sottolineando chiaramente ad Escol, che lì dentro aveva visto andare e venire diverse persone, non era sicuro se tutti imperiali, ma erano tutti bardati in armatura pesante e muniti di armi affilate al loro fianco. Tuttavia il figlio del Duca gli rispose candidamente di non preoccuparsi, perché era davvero fortemente motivato a far capire a queste persone che non era prudente agire in maniera insensata e violenta come avevano fatto con Hilda. Le ripercussioni sarebbero state infatti pesantissime, come avrebbe sperimentato in prima persona quella spia maledetta e chiunque si fosse messo in mezzo tra loro due. Jonas, Alarien ed Eofaulf si guardarono perplessi: quel ragazzo o era davvero una macchina da guerra o sarebbe certamente morto entro la fine della giornata. Nessuno comunque desiderò contraddirlo ulteriormente, preferendo assecondarlo e seguire il suo piano. Prima di dirigersi verso la porta est della città però, il figlio del Duca si recò in un vicino emporio, ed acquistò un’intrigante maschera metallica con bordature ornamentali nero e argento, ed un lungo mantello anch’esso dal colore biancastro/argentino. Il ranger che era con lui non riuscì a capire il motivo di tali acquisti, soprattutto in un momento delicato come quello, ma quando raggiunsero l’edificio in questione, lo scoprì immediatamente.
Capitoto 6 - Uno sconosciuto benefattore.
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- Scritto da Jack Warren
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