Escol rientrò tosto al tiepido tepore della locanda e subito Hilda gli venne incontro, felice che fosse tornato senza Vala al seguito. La mezzelfa non si sforzava nemmeno di non palesare la sua soddisfazione nell’essere rimasta l’unica donna del gruppo, avendo sempre considerato Vala come una sua rivale nel cuore e nei pensieri di Escol. Tuttavia, lo sguardo torvo del figlio del Duca, che aveva indovinato perfettamente i suoi pensieri, le avevano tolto immediatamente il ghigno storto che si era disegnato sulla sua bocca. Fingendo di schiarirsi la gola, la maga si apprestò a cambiare discorso, rivelando al giovane guerriero che in quella locanda c’erano solo tre guide che stavano ancora cercando lavoro. Una donna esile e coperta interamente da una cappa con mantello, seduta non troppo lontano da Jonas, un uomo robusto e silenzioso, che se ne stava solo in disparte nella parte ovest della stanza e l’ultimo, un avvenente giovanotto, che stava giocando a dadi con diversi brutti ceffi, proprio dirimpetto al bancone ove stanziava l’ostessa. Hilda confidò sommessamente all’amico che li aveva osservati attentamente tutti e tre, ed aveva raccolto dei pareri alquanto discordanti su di loro, in special modo su due di essi: la donna ammantata di verde e il tipo gioviale che giocava a dadi. Dell’altro invece nessuno sapeva niente, dettaglio altrettanto rivelatore e controverso: egli sembrava infatti apparso dal nulla e dai suoi abiti, vissuti e piuttosto sporchi, pareva provenire da terre assai lontane e remote. Escol li guardò per una manciata di intensi istanti, che però gli bastarono per farsi un’idea su come procedere. Poi incontrò lo sguardo penetrante di Jonas, il quale sembrava volerlo spronare a fare subito qualcosa in merito alla guida di cui ancora erano sprovvisti. Il giovane Nordhmenn provò a carpire qualche altra informazione dalla gentile ostessa, la quale però non aggiunse molto di più di quello che già gli aveva riportato Hilda, se non che, sebbene un po stravagante, quello che giocava a dadi e rideva in maniera sguaiata, era certamente lo “scout migliore di tutti”! Escol inarcò un sopracciglio e ringraziò la locandiera per la sua franchezza, ricompensandola di nuovo con qualche moneta d’argento. Poi fece la sua mossa. Si staccò dal bancone e si avvicinò alla donna seduta sola al tavolo vicino Jonas. Prima di “aprire le danze” però, bisbigliò ad Hilda di monitorare la conversazione e di riferirgli tutto quello che avrebbe notato dei suoi comportamenti, verbali e non verbali: se avesse sbagliato scelta, se avesse assoldato la persona sbagliata, non sarebbero sopravvissuti a lungo. Quindi si presentò, ma quando lei si voltò verso di lui, scoprendo in parte il volto, Escol trasecolò. Quella donna era un’elfa e, malgrado largamente diversa da Enwel, per un momento il cuore del figlio del Duca si arrestò per l’emozione. L’elfa sorrise, attendendo pazientemente che il giovane guerriero si riavesse. Quindi lo invitò educatamente al suo tavolo. Escol si scusò per la sua reazione inappropriata, quindi di presentò e domandò all’elfa le sue referenze per un lavoro come guida di una carovana. La donna disse di chiamarsi Alarien e di provenire dalla città di Leitenes, città dalla storia controversa, condivisa con il clan Nordhmenn di Orsvia, di cui fortunatamente Escol conosceva la tumultuosa storia. Aggiunse di fare questo lavoro da molto, molto tempo, ma quando il figlio del Duca le chiese se fosse interessata a guidarli attraverso i vasti territori imperiali, storse la bocca e abbassò gli occhi dispiaciuta. Gli elfi infatti non erano ben visti all’interno dei confini dell’impero (c’era un guerra in atto tra le legioni di Arios e le loro roccaforti!) e se una ronda li avesse fermati durante il tragitto, non solo lei avrebbe corso un serio pericolo, ma anche lui stesso e la sua carovana! Tuttavia Escol non fu minimamente turbato dalle sue parole, insistendo che voleva a tutti i costi averla nella sua squadra: qualunque cifra avesse chiesto per correre tale rischio! Alarien sembrava sinceramente incuriosita dalle sue intense parole: in fondo c’erano altre guide disponibili in quella locanda e anzi fu lei stessa a suggerirgli di sentire anche le altre campane, perché ce n’erano alcune che suonavano anche meglio di lei e sarebbero state certamente molto meno problematiche. Eppure il figlio del Duca pareva davvero irremovibile: voleva lei, lei e nessun altro al suo fianco. Alla fine, Alarien si lasciò convincere. Affermò che avrebbe accettato il lavoro, ma pretese da Escol la verità. Il giovane guerriero non gli sembrava affatto uno sprovveduto. Quindi perché scegliere proprio lei? L’elfa sostenne, senza mezzi termini, che aveva il diritto di saperlo. A quel punto Escol si intristì e le mostrò “il legame indissolubile”. Alla vista del prezioso monile elfico, questa volta fu l’elfa a sgranare gli occhi! Non aveva mai visto un simile, importante gioiello al collo di un essere umano. Alarien lo guardò sorpresa ed un pizzico ammirata, poi annuì e non ci fu bisogno di ulteriori spiegazioni. Escol non avrebbe mai voluto mostrare il dono di Enwel ad Alarien, poiché in questo modo l’avrebbe costretta ad aiutarlo, secondo le antiche leggi elfiche. Tuttavia, sapeva anche bene che quel gesto l'avrebbe legata a lui da un vincolo imprescindibile e aveva davvero disperato bisogno di lealtà, oltre che di perizia come ranger. Quindi i due conclusero l’affare, ed il figlio del Duca le offrì subito la metà del compenso richiesto. Poi la invitò ad unirsi al tavolo di Jonas per conoscere il mercante. Alarien sorrise ed annuì. Quando Escol incrociò i suoi occhi, Hilda aveva un’espressione decisamente contrariata: questo perché l’elfa era “disgustosamente affidabile”, come l’aveva definita con un pizzico di gelosia nella voce. Sorridendo e senza perdere un altro secondo, il figlio del Duca avvicinò il secondo scout: un Nordhmenn dall’aspetto trasandato che rimaneva solo ed in disparte e che nessuno, nemmeno Alarien, aveva mai visto prima. Egli non rivelò il suo nome, ma invitò comunque Escol a sedersi al suo tavolo e a parlare con lui. Dichiarò di essere fuggito dall’impero, dove aveva servito per molti anni. Egli sostenne di ripudiare i “metodi imperiali”, come del resto sospettava che anche il figlio del Duca amasse fare, indossando un monile come quello che portava al collo. Escol assottigliò minacciosamente gli occhi: gli piacevano il coraggio e la sfrontatezza, ma quello sfoggio di abilità nel notare particolari molto personali e “rinfacciarli” in maniera così diretta a perfetti sconosciuti, oltre a denotare invadenza e arroganza, era anche dannatamente pericoloso. Troppo pericoloso. Quel gesto dialettico, così provocatorio, poteva nascondere mille sottintesi, tra cui una velata volontà di carpire informazioni sulla sua “posizione” politica. Il figlio del Duca si alzò tosto dal tavolo, ringraziando la guida, ma sottolineando quanto la sua osservazione fosse stata inopportuna e sospetta. Quindi si allontanò, riunendosi con Hilda. La mezzelfa scosse la testa: non gli piaceva affatto quell’uomo. Indipendentemente dal suo commento sul “legame indissolubile”. Escol fu d’accordo con lei e le chiese di farlo sparire in maniera rapida e silenziosa: a sua discrezione se volesse limitarsi a stordirlo o a eliminarlo definitivamente. Infatti, nessuno sapeva niente su quel tizio, il che era davvero troppo strano e la loro missione era troppo importante per rischiare di lasciarsi dietro una spia imperiale: sarebbero stati compromessi ancor prima di partire. Hilda annuì: d’altronde, era stata la sua specialità per anni adescare ed eliminare le persone! Mentre la mezzelfa si avvicinava seducente al tavolo della guida senza un nome, Escol decise di scambiare due chiacchiere con “il giocatore di dadi”. A sentire in giro, egli era il miglior ranger in circolazione: non c’era infatti nessuno che conosceva i territori imperiali come lui. Il figlio del Duca si affiancò al suo tavolo, si scusò per l’intrusione e comunicò chiaramente all’uomo che voleva parlare con lui di lavoro. Lo scout annuì e si alzò, invitando Escol a sedersi da un’altra parte per poter parlare più agevolmente. Il figlio del Duca notò che mentre gli altri avventori che stavano con lui avevano pinte e pinte di birra vuote davanti ai loro nasi, egli invece non aveva bevuto nemmeno un bicchiere: dettaglio che lo incuriosì non poco. Inoltre, sembrò cambiare letteralmente atteggiamento: da sguaiato e privo di freni inibitori, si trasformò in un esempio di educazione e professionalità, spiegando, alla assai lecita domanda di Escol, che il suo era solo un modo di fare, uno stratagemma per non destare sospetti all’interno dell’ambiente dei mercenari. Egli infatti conosceva bene quante spie e sicari aveva l’impero in città e mischiarsi con la “marmaglia” era l’unica strada per non far trapelare i suoi avversi sentimenti nei confronti dei viscidi ed incivili metodi di Arios verso Elfi e Nani e le altre popolazioni libere di Eord. Escol rimase compiaciuto ma sorpreso da tali esternazioni, ed era sul punto di alzarsi nuovamente ed andarsene, non potendo rischiare di compromettersi nemmeno con lui, ma prima di poterlo fare, Eofaulf lo trattenne per un braccio. Lo scout gli disse, bisbigliando, che Hilda era uscita dalla locanda alcuni minuti prima, seguendo l’uomo con cui aveva condiviso il tavolo fino a poco fa. Senza giri di parole, confermò tutti i suoi sospetti su di lui: si trattava di una vile spia degli imperiali! Escol si alzò di scatto: come diavolo faceva lui a saperlo? Eofaulf si tirò su lentamente, misuratamente, suggerendo al figlio del Duca che non era quello il momento per discuterne, poiché la sua amica mezzelfa si trovava adesso davvero in grave pericolo e lui si stava offrendo di aiutarlo. Poteva trattarsi di una trappola, magari ordita da entrambi per ucciderlo, ma Escol non aveva scelta e decise di fidarsi di quell’uomo così camaleontico e sornione. Che altro avrebbe potuto fare, da solo, in una città sconosciuta? Era più che probabile inoltre che Eofaulf sapesse di lui molto più di quello che avrebbe immaginato prima di conoscerlo, ma questo non voleva significare per forza che l’avrebbe tradito, consegnandolo agli imperiali. Anzi, se questa fosse stata la sua intenzione, l’avrebbe probabilmente già fatto. Come una furia, Escol uscì dalla locanda, seguito da presso dallo scout. Fu estremamente difficile per Eofaulf orientarsi in mezzo a tanta gente che sciamava per le strade, ma il ranger sembrava sempre raccapezzarsi, in ogni vicolo o stretto corridoio della città e quando i due trovarono Hilda, sanguinante, seduta sul ciglio della strada, ad Escol gli si fermò il cuore nel petto per la paura e l’ansia di perdere anche lei.