Escol riemerse dallo specchio incantato stanco e con l’affanno, ma anche molto motivato e felice di aver recuperato un oggetto che sarebbe stato potenzialmente utile ad aiutarlo nei suoi prossimi viaggi. L’oscurità si avvicinava sempre di più e lui lentamente stava scivolando ogni giorno che passava verso zone inesplorate e spesso inospitali e qualunque cosa si fosse rivelata di supporto alla sua causa, sarebbe stata più che gradita, specialmente se di natura soprannaturale. La spada infatti, dalla lama leggermente ricurva, pur non essendo la sua arma preferita, aveva delle virtù magiche uniche, che probabilmente solo lui adesso conosceva. Il figlio del Duca la girava e la rigirava, impugnandola prima con la destra e poi con la sinistra, per osservarla meglio e notò aguzzando la vista alcuni baluginii lungo l’elegante lama, come risonanze luminose che si agitavano casualmente, danzando al pari di allegri folletti sul suo unico e tagliente filo. Aggrottando le sopracciglia il giovane guerriero la rinfoderò: non tremava certo dall’euforia all’idea di pronunciare il nome di Enwel ogni volta che avesse avuto bisogno di richiamare le sue mistiche virtù, ma questo era quello che gli aveva detto Nelothien, ed è questo che avrebbe fatto in caso di bisogno. Afferrandola per il fodero, uscì poi a grandi passi dalle stanze di Enwel. Era molto tardi, ma aveva un ultimo compito da fare prima di potersi permettere il lusso di andare a coricarsi. Bussò infatti alla porta di Celador, ed attese che il cortese elfo lo accogliesse nelle sue stanze. Fortunatamente queste creature, esotiche dal suo punto di vista, non dormivano molto, forse non dormivano affatto, se non per scelta per quel che ne poteva sapere su di loro, ed infatti il padrone di casa lo fece entrare senza soffermarsi troppo sulle questioni di etichetta. Escol si scusò comunque per averlo disturbato nel cuore della notte, poi gli descrisse la sua ultima impresa, di come essa fosse stata preparata minuziosamente settimane prima da sua sorella, sfruttando le sue innate capacità da veggente. Gli parlò degli enigmi che aveva risolto e del suo avo con cui aveva conferito e che evidentemente l’aveva ritenuto degno di fargli dono, alla fine di un certo numero di prove cui l’aveva sottoposto, della sua stessa spada. Aveva esaudito quindi l’ultimo desiderio di Enwel di aiutarlo ad ogni costo. Infine gli domandò se avesse voluto tenere per sé quella spada, visto che gli apparteneva di diritto per linea di discendenza diretta. Celador tentennò: non era successo molte volte che quell’antica e potente lama ricurva fosse stata prestata dal suo legittimo proprietario a qualcuno della sua famiglia e quando era successo, era dipeso sempre da situazioni di crisi estrema. Situazioni che, se il giovane Nordhmenn l’avesse tenuta con sé per realizzare i suoi scopi, non avrebbe potuto contribuire a risolvere come era stato invece in passato. Tuttavia, l’elfo non se la sentiva di contrastare la volontà di sua sorella: lei aveva scelto di aiutare quel giovane umano e l’aveva fatto non attraverso quella spada, ma donandogli la cosa più preziosa che avesse: la sua anima immortale, contenuta adesso nel gioiello smeraldino che quel ragazzo portava al collo. Quindi protese le mani verso il suo ospite, rifiutando categoricamente di privarlo di un aiuto così prezioso. Dopo qualche minuto di dibattito sereno, i due si accordarono per aspettare la fine della missione di Escol per restituire la spada, ed entrambi si mostrarono abbastanza soddisfatti per aver trovato infine questo compromesso. Tra l’altro Celador, per onorare ulteriormente la memoria di Enwel, aveva chiesto al re la possibilità di accompagnarlo, dettaglio che inorgoglì non poco il guerriero dell’Ordine. Poi i due si salutarono con rispetto, ed Escol poté tornare finalmente nelle sue stanze e riposare. L’indomani mattina, dopo una breve colazione, il figlio del Duca volle andare a fare un giro in città. Pertanto svegliò i suoi amici per chiedere loro se avessero voluto accompagnarlo, ma solo Vala si offrì di farlo. Aemaer preferì rimanere nelle sue stanze: non amava molto gli elfi, pertanto affermò burbero che sarebbe rimasto “buono buono, dentro la sua cameretta, fino al momento di partire…”. Tuttavia sottolineò più volte che avrebbe gradito mangiare qualcosa di buono della cucina locale prima di andarsene, ed Escol acconsentì di portargli qualcosa di davvero gustoso da mettere sotto i denti al suo ritorno. Quindi i due amici uscirono dalla tenuta Nelothien, ma prima di esplorare i numerosi negozi della città, decisero di far visita allo scriba locale. Escol infatti voleva inviare una missiva a suo padre il Duca, per fargli sapere che stava bene e che il viaggio procedeva nel migliore dei modi, ma anche per metterlo in guardia da Munir e da altri eventuali traditori presenti nel maniero. L’elfo che aprì loro la porta, ed offrì i suoi servigi, li accolse con cortesia, sfoggiando librerie fornitissime e molto ordinate sparse un po' ovunque per la casa. Nel suo studio li fece accomodare su comodi sofà e poi si mise subito al lavoro, riportando fedelmente la dettatura di Escol, che utilizzò un vecchio codice militare per informare suo padre del pericolo in cui si trovava. Grazie a questo linguaggio cifrato, il giovane poté comunicare correttamente le informazioni al Duca Berge, ed il tratto marcatamente elfico dello scriba non lasciava dubbi che la lettera provenisse da una città elfica, quindi da Mathyr. Come unico riferimento preciso, Escol lasciò solo la data corrente a mò di intestazione, per far sapere al padre che la missiva era molto recente. Per il resto, anche se fosse caduta nelle mani sbagliate, solo lui avrebbe potuto leggerla e interpretarla nel giusto modo. Soddisfatto del lavoro dello scriba, Escol e Vala ricompensarono adeguatamente l’erudito, ed uscirono poi dalla sua abitazione con un piccolo peso in meno sull’anima. La tappa successiva fu una gioielleria locale. Vala si mostrò molto perplessa circa il motivo per cui Escol l’avesse portata lì: il suo amico non pensava davvero che potesse apprezzare quei ninnoli luccicanti?! Eppure il giovane volle comunque parlare con il commesso del negozio, per capire se tra i molti articoli esposti, ce ne fosse qualcuno dalle virtù un pò particolari. Un gioiello che fosse incantato insomma. Un artefatto che avrebbe potuto proteggere Vala dalle inevitabili ferite verso cui sarebbe andata incontro se avesse continuato a stargli accanto. Purtroppo però, malgrado alcuni artefatti fossero davvero bellissimi, nessuno di essi possedeva capacità mistiche, pertanto, prima che le abilità cleptomani della donna si manifestassero ancora una volta dentro quel negozio, Escol decise di provare a visitare altre botteghe. Si recò dunque nelle armerie e nelle concerie del posto, per capire se vi fossero armi ed armature di qualità superiore, per sé stesso e per la sua compagna, ma, tra tutte, trovò solo uno scudo in metallo leggero di pregiata fattura rispetto alla media. Un oggetto però che la sua amica non usava in combattimento. Consapevole però che in alcune occasioni avrebbe potuto utilizzare la spada incantata al posto del suo spadone, decise di acquistarlo lo stesso e di tenerlo per sé: almeno così avrebbe potuto proteggerla personalmente se fosse stato necessario. L’alchimista e l’erborista della città non avevano particolari articoli da offrire, se non pozioni di guarigione esageratamente costose. Quindi, verso l’ora di pranzo i due amici avevano visitato più o meno tutti i negozi della città e decisero di tornare alla tenuta di Celador: nella testa di Escol ardeva forte il desiderio di ripartire per la prossima tappa, la città Nordhmenn di Veroyrika, entro il primo pomeriggio.  Sarebbe stato un viaggio piuttosto lungo, quasi cinque giorni di camminata intensa e il giovane moriva dalla voglia di capire se il “Gran Sacerdote delle Ombre” avrebbe mantenuto la parola data, evitando di attaccarli lungo il viaggio. Prima di ritirarsi a palazzo Nelothien però, il figlio del Duca volle onorare la parola data ad Aemaer. Recandosi in un forno lì vicino, comprò una torta elfica particolarmente farcita e consigliata dalla casa e a giudicare dall’espressione del suo rozzo compagno, quando il grosso Nordhmenn l’aveva divorata davanti agli occhi, attoniti e disgustati, suoi e di Vala, pareva che la fama del pasticcere che l’aveva creata fosse davvero ben meritata.

Un secondo prima di accomiatarsi da lui, Vala fece notare poi ad Escol un dettaglio interessante, a cui lui in effetti non aveva fatto caso: nessuno dei negozianti aveva contrattato con lui sul prezzo dei loro articoli. Mai. Avevano accettato in prima battuta la sua controfferta senza battere ciglio, oppure era stato il giovane Berge a ringraziare e scegliere di non accordarsi con loro, abbandonando il negozio. Escol osservò la sua amica in maniera strana, ma sapeva dentro di sé che aveva ragione e adesso che lei gliel’aveva fatto notare, pensava di conoscere il motivo di tale comportamento. Era a causa del gioiello di Enwel! Il giovane sorrise al fatto che l’elfa continuava a proteggerlo in silenzio, anche quando lui non se ne accorgeva e ringraziò di cuore la sua amica per avergli riferito quel particolare che gli infuse ulteriore coraggio per il viaggio incombente. Sistemando meglio il ciondolo dentro la casacca, entrò finalmente nelle sue stanze e si preparò per il pranzo.