Escol, Vala ed Aemaer, avevano infine lasciato le mura amiche di Kizad con la benedizione del principe Air Lourge e avevano imboccato da qualche ora il sentiero che portava alla città elfica chiamata Mathyr. Questa volta però il giovane figlio del Duca aveva proposto ai suoi amici di evitare i boschi e i sentieri meno battuti e propendere per una via più sicura e frequentata. Questo nella speranza che gli elfi scuri avrebbero avuto più difficoltà nel tendere agguati furtivi al gruppo. Nessuno di loro aveva obiettato nulla di fronte a quella proposta e quindi i tre amici adesso camminavano impavidi lungo la via maestra. Il primo giorno passò tranquillo e senza particolari problemi, ma il secondo giorno accadde ciò che Escol temeva di più. Durante la notte infatti, lui e i suoi compagni avevano acceso un allegro fuocherello al margine del sentiero, per riscaldarsi e rimanere ancora entro i confini più sicuri di una via di passaggio. Ad un certo punto Aemaer aveva preso ad annusare l’aria, come fosse una fiera che cercava di capire che tipo di animali fossero presenti attorno a lui. Se avesse dovuto, in quella circostanza, essere preda o cacciatore. Quando dall’oscurità della notte spuntarono diversi volti ombrati, esili come gli elfi ma eburnei come la pece, ed armati di armi sottili ma letali, il grosso Nordhmenn comprese che questa volta lui ed i suoi amici sarebbero stati bottino per questi mortali pirati! Ben nove elfi scuri invasero il piccolo campo dei nostri eroi, ingaggiando con loro un feroce ed improvviso combattimento. Aemaer mulinava il suo pesante spadone come fosse un fuscello, dimostrando subito ai suoi avversari quanta possanza avesse e quanto brutale sarebbe stato con loro. Vala invece tentava di fare il possibile per respingere i micidiali assalti, ma la giovane veterana pativa più dei suoi due amici la fatica della pugna a causa delle sue ferite che stentavano a rimarginarsi. Escol abbattè due dei suoi nemici prima di voltarsi e capire che le cose si stavano mettendo davvero male: Vala era stata colpita dalle lucide lame degli elfi scuri almeno un paio di volte, mentre il suo grosso alleato Nordhmenn addirittura di più. Il figlio del Duca sospettò che quella volta non ce l’avrebbe proprio fatta a sopravvivere, soprattutto perchè altri assassini della setta stavano sopraggiungendo e presto lui e i suoi amici sarebbero stati soverchiati nel numero. Proprio quando ritenne che ogni speranza fosse ormai perduta, una freccia sibilò da dentro il bosco limitrofo, colpendo un elfo scuro in un occhio. Il sicario cadde a terra esanime, mentre un’altra freccia eliminava uno dei suoi compagni, poco distante. Ben presto uno sciame di dardi si abbatté sugli assalitori, sterminandoli dopo solo pochi secondi. Escol non riusciva a capire cosa stesse succedendo, ma presto gli fu tutto chiaro: una pattuglia di elfi chiari, che evidentemente vigilava sull’area, aveva sentito i rumori della battaglia e dunque era intervenuta trucidando gli assassini dell’Ombra uno ad uno senza alcuna fatica. Ovviamente non potevano che trattarsi di elfi chiari della regione del Kyath, provenienti forse dalla stessa città di Mathyr o da qualcuna limitrofa. Quando un elfo dal nobile portamento emerse dalla macchia di alberi e si diresse verso la compagnia, pur non avendoli mai visti prima o mai da così vicino, Enwel a parte, Escol lo accolse con entusiasmo, ringraziandolo per avergli salvato la vita. Egli disse di chiamarsi Celador Nelothien e di provenire in effetti dalla città di Mathyr. Quando però l’elfo notò che al collo del giovane umano si muoveva un ciondolo di sua conoscenza, afferrò subito l’arco e puntò una freccia al suo petto, in attesa di immediate spiegazioni. Escol mise le mani avanti per rassicurarlo, raccontandogli la triste storia del suo incontro con un’elfa di nome Enwel. Con lo sguardo perso in una tristezza sconfinata, il giovane figlio del Duca narrò di come l’avesse salvata dagli Okar e di come lei aveva voluto fargli dono di questo gioiello. Purtroppo, riferì anche che l’elfa si sarebbe spenta per sempre il mattino seguente e dichiarò apertamente quanto lui non riuscisse a darsi pace per questo. Celador abbassò l’arco, rivelando l’incredibile notizia che Enwel era sua sorella e ribadendo che ciò che gli aveva regalato era ben più di un mero orpello penzolante. Ella aveva, per qualche motivo per lui ancora incomprensibile, voluto creare un “legame indissolubile” con lui, un umano: un gesto estremamente significativo per un elfo, che difficilmente si elargiva con leggerezza e mai ad un esponente di un’altra razza. Escol provò a restituire il monile alla famiglia dell’elfa che gliel’aveva donato, ma Celador rifiutò categoricamente: se la sorella aveva preso quella decisione, c’era un motivo importante dietro e dunque l’artefatto doveva rimanere al suo collo. Per sempre. Escol annuì, soddisfatto. Poi si voltò con ansia e angoscia per la sorte che poteva esser toccata a Vala, ma vide che alcuni elfi stavano prendendosi cura di lei e del grosso barbaro poco distante. Egli comunque decise di utilizzare due pozioni d’ambra per supportare i suoi amici, ma, al di là di quel primo soccorso, era chiaro che tutti avevano bisogno di riposo e di ristoro. Così, d’accordo con Celador, decise di accompagnare gli elfi in città e magari approfittare dei guaritori del nobile elfo per aiutare i suoi compagni a recuperare prima dalle profonde ferite ricevute. Mentre i due si stavano accordando su questo punto, un elfo avvertì il suo leader che il grosso umano stava facendo delle cose orribili ai cadaveri degli elfi scuri. Voltandosi verso di lui, Escol impallidì. Egli infatti li stava decapitando con la sua affilata lama, nonostante gli elfi cercassero di dissuaderlo da questo suo atteggiamento irrispettoso nei confronti dei defunti. Il figlio del Duca accorse subito, chiedendo spiegazioni, ma il Nordhmenn sembrava affatto pentito dopo aver subito il suo rimprovero. Anzi, egli invitò il giovane Berge a fare altrettanto, come era usanza presso il suo popolo. Escol a quel punto alzò le braccia al cielo in segno di disperazione. Prima Vala e adesso Aemaer! Sembrava che i suoi stessi amici cercassero di mettergli i bastoni tra le ruote! Di fatto, il grosso guerriero smise di tagliare colli a destra e a manca, capendo solo che il ragazzo che doveva seguire e proteggere non voleva che lui facesse una cosa del genere, ma sul suo viso potevano facilmente leggersi tutti i dubbi di qualcuno che non riusciva a cogliere il senso di una tale decisione. Quell’usanza era una cosa normale tra la sua gente. Prendersi le teste dei nemici era la giusta ricompensa di chi aveva primeggiato in battaglia. Un trofeo che spettava di diritto. Tuttavia, Aemaer ci rinunciò, eseguendo il comando del figlio del Duca. Escol cercò poi di ricomporre i corpi come meglio potesse, ed aiutò successivamente gli elfi a seppellire i cadaveri dei loro cugini, per non lasciarli ai corvi o alle iene. Davvero esasperato, il giovane Berge si concentrò poi sulla conversazione con Celador, che per fortuna aveva accettato le sue scuse e la spiegazione che gli aveva fornito sulle diverse (barbare) usanze che evidentemente il gigantesco Nordhmenn ancora amava praticare. Per sviare l’imbarazzante argomento, Escol riprese a parlare di Enwel e della sua strana decisione di partecipare alla battaglia contro gli Okar, prestando servizio come guaritrice. Domandò dunque a suo fratello perché mai non fosse partito con lei. Come mai l’avesse lasciata da sola. Celador abbassò lo sguardo, sostenendo che il re gli aveva affidato il compito di presidiare i confini della città e dunque egli non aveva potuto farci niente. Essendo stato avvertito per tempo su come funzionassero le cose nel regno elfico, Escol si limitò a rimanere in silenzio ed ad annuire amaramente. Il viaggio durò alcune ore, ma furono ore tranquille che passarono senza problemi. Durante parte di questo tempo, Vala si avvicinò al suo amico e, vedendolo triste e arrabbiato per via di quello che aveva combinato Aemaer, provò a confortarlo e a distrarlo, raccontandogli una vecchia storia:  “Perché sembri così sconvolto Escol? Ciò che Aemaer ha fatto e che ti ha tanto turbato, fa parte del tuo retaggio. E' vero che ora il tuo popolo si e' ingentilito dopo essersi fuso con il mio, ma un tempo eravate simili tu e il barbaro. Quando i Norhdmenn sconfissero gli “Asura” e liberarono il mio popolo, si trovarono padroni di un enorme territorio, che oggi conosci come “l'Impero”. La maggior parte del mio popolo era felice riguardo ad una convivenza con il tuo, anche se fu subito chiaro che non saremmo stati trattati certo da eguali. Tuttavia i Dainur erano e sono ancora  un popolo di mercanti, scienziati e artisti, non di guerrieri e non ripudiavano certo l’idea che qualcuno in futuro si fosse preso cura di loro, se si fosse reso necessario. Solo una piccola parte di essi, una decina di tribu' Dainur, si disse molto grata, e seppur giurando, come il resto del loro popolo, eterna riconoscenza e desiderio di protrarre quest’alleanza con i Nordhmenn a lungo, manifestarono però la volontà di fondare un loro regno indipendente. Dunque Lucas Modhi, colui che passerà alla storia come il “Primo Imperatore”, organizzò subito un incontro tra i capi tribu' Dainur dissidenti, lui ed i suoi generali. I generali Norhdmenn si presentarono all'incontro come stabilito, ma non prima di aver rapito tutti figli maschi primogeniti dei capi tribu' coinvolti. All'incontro, tutti i ragazzi e i loro padri vennero trucidati! Solo ad un capo tribu' fu permesso di vivere, per poter raccontare cosa sarebbe successo a chi si ribellava alla volontà dei Norhdmenn. E cosi' con un sol colpo stroncarono ogni velleità di indipendenza del mio popolo.”  Escol ascoltò con molta attenzione il racconto della sua amica, ma esso non servì a fargli cambiare idea o a rassicurarlo. Anzi, non fece altro che convincerlo ancor di più che barattare la ferocia in battaglia dei Nordhmenn puri, con la loro barbara ed incivile spietatezza, forse non sarebbe stato uno scambio vantaggioso per la nascente resistenza armata. Forse essa avrebbe avuto più da perdere che da guadagnare ad avere questi “decapitatori di cadaveri” tra le loro fila. Perso nei suoi pensieri, a dire il vero un po tetri e pregni di preoccupazione, Escol nemmeno si accorse quando arrivarono a Mathyr, così scortati in maniera tanto serrata dagli elfi di Celador, che cercava di proteggerli perfino dagli sguardi curiosi degli abitanti della città. Non che ci fosse pericolo, ma sarebbe stato meglio evitare di far sapere che tre stranieri umani erano ospiti tra le mura delle sue proprietà. Celador li scortò in un’ampia stanza e domandò ai suoi guaritori se potessero risanare i corpi ancora sanguinanti dei suoi ospiti. Aenaer ci mise un po' ad accettare l’idea che qualcosa di mistico potesse curare le sue escoriazioni e i tagli sul suo corpo, ma alla fine accettò, anche vedendo il modo truce con cui Escol lo stava guardando. Poi, mentre ai suoi amici furono affidate delle comode stanze dove riposare, il figlio del Duca decise invece di scambiare quattro chiacchiere con Celador, prima di coricarsi. Si presentò intanto a lui come “Dakkar Astarte” della casata dei “Berge” ed ammise che, sollecitato dal nobile elfo sul perchè “le Ombre” volessero così ardentemente il suo scalpo, un certo “Atham Bedde” aveva convinto il Gran Sacerdote di questa setta di assassini che lui era un loro nemico e che andava eliminato immantinente. Da quel momento, ogni volta che ce n’era stata l'opportunità, gli elfi scuri avevano tentato di farlo fuori con ogni mezzo. Celador annuì e anch’egli raccontò ad Escol una storia in proposito. Una storia triste, che riguardava Enwel. 

Non molto tempo fa la mia Casa serviva un nobile Elfo di nome Nenton. Costui fu la vittima di un “Contratto di Morte” della “Setta delle Ombre”, ma i valorosi guerrieri della mia casata, riuscirono a respingere gli attacchi dei loro sicari per molto tempo: tanto che gli assassini dovettero usare gran parte delle loro risorse per riuscire alla fine ad uccidere il nobile Elfo. Quindi il “Gran Sacerdote della Setta” dichiaro' la “Kostaminen: La vendetta a Oltranza” sulla mia famiglia. Decise quindi che la sofferenza nella nostra casata sarebbe perdurata a lungo e sarebbe stata estremamente dolorosa per tutti quelli che ne facevano parte. Il Gran Sacerdote mise subito in atto ciò che aveva stabilito. Mio padre aveva due figli: me e mia sorella Enwel… la mia sorellina… era la gioia della nostra casa: bella, dolce, generosa, intelligente, determinata. Sembrava che la “Natura” stessa l'avesse benedetta con tutti i suoi doni. Purtroppo, la Setta riuscì a somministrarle con l’inganno un potente veleno: il “Veleno Residuo”. Questo tipo di letale tossina fu una loro invenzione che rappresentava appieno quelle menti perverse: essa infatti non uccideva subito, ma poteva rimanere anche anni a circolare nel corpo, privandolo ogni giorno della sua forza, uccidendo la vittima lentamente e inesorabilmente. Non c'e' nessun antidoto o Incantesimo conosciuto che possa impedire al veleno di compiere la sua opera. Si può tentare di combatterlo giorno dopo giorno con la volontà e alcuni infusi lenitivi, ma alla fine avra' il sopravvento su chiunque lo abbia ingerito. Cosi' vedemmo la gioia dei nostri occhi morire ogni giorno un po' di piu'. Fu verso la fine, quando ormai il suo corpo e i suoi incantesimi di guarigione cominciarono ad essere troppo deboli, che decise di seguire il nostro esercito in battaglia, per fornire agli altri il suo ultimo supporto. Il resto credo che tu lo conosca meglio di me.” Escol aveva le lacrime agli occhi quando Celador smise di raccontare l’infausto destino toccato ad Enwel e lui non se la sentì di aggiungere nulla alle sue parole. Si congedò in silenzio, preferendo andare nelle sue stanze a riposare un pò, che spiegare a Celador quanto anche lui avesse amato sua sorella immensamente, in quelle poche ore in cui si erano conosciuti ed incontrati in quella maledetta radura degli Okar.