I due compagni di viaggio ci misero un po’ a riprendersi da ciò che era appena successo.
Aric non aveva mai visto una cosa del genere: ciò che il bastone aveva effettuato non era un incantesimo di divinazione negromantica, ma un suo talento specifico. Gli era bastata soltanto la giusta “parola di attivazione” per evocare quell’inquietante soluzione e la cosa pareva molto strana allo stregone. Sembrava come se "esso" avesse delle "abilità naturali”, come per lui lo era parlare o camminare e che l’unico vincolo che bisognava rispettare fosse apprendere la modalità precisa per saperle sfruttare al meglio.
Il mezzelfo attese pazientemente che il mago tornasse nel mondo dei vivi, poi sorrise ironicamente e tornò a precederlo lungo la via. I chilometri passavano veloci e quando Kail aveva un dubbio a causa della scarsa visibilità, poteva sempre contare sulla sua bussola magica. “Un oggetto che mi manderà in pensione…” Pensò, laconicamente.
Il ranger indicò un lago poco distante, spiegando al mago che era per quello che aleggiava tanta nebbia persistente nella valle, che oscurava così tanto la visuale, ma per fortuna le rovine dell’avamposto divennero visibili appena pochi minuti dopo. Dapprima sotto forma di qualche grosso sasso, frutto del disastro causato dai frammenti della montagna di fuoco arrivati fin qui da Ishtar, poi con qualche abbozzo di antiche costruzioni, come stalle, botteghe di vari maniscalchi e magazzini.
La fitta foschia non aiutava molto ad orientarsi, ma Kail intuì comunque con quale logica fosse stato costruito in origine quell’avamposto. Esso sorgeva entro un perimetro in pianta quadrata, aveva due entrate, una a sud (la loro) ed una a nord, tre alte torri, di cui solo una stava ancora in piedi e appunto una serie di edifici esterni che servivano alle prime necessità dei pellegrini. Il mezzelfo si fermò e si voltò poi verso lo stregone: sarebbe stato impossibile muoversi in sicurezza senza perdere l’orientamento con così scarsa visibilità, pertanto aspettava che egli gli indicasse la direzione da prendere. Aric ci pensò sopra qualche istante, poi chiuse gli occhi e si concentrò sulla vibrante sensazione di elettricità statica che sentiva aumentare ad ogni secondo sulla propria pelle. Puntò quindi un dito verso la torre messa meno male delle altre, invitando lo scout a precederlo. Kail si sistemò meglio lo zaino in spalla, poi annuì e si diresse verso la torre est.
Essa aveva una sezione completamente divelta, come se un gigante frettoloso avesse deciso di uscire dal muro e non dal portone, ma incredibilmente stava ancora in piedi! I due compagni passarono oltre i ruderi, entrando alla fine all’interno della crepa.
Adesso anche Kail percepiva una sensazione di potere, varcando quell’antro spaccato. Una sensazione di disagio, come se fosse fuori posto, in un luogo a cui non apparteneva e in cui non era stato invitato. Spronando Aric alla cautela, il mezzelfo gli fece segno di seguirlo.
Nella vecchia torre non c’era più niente, le scale che portavano sopra erano state frantumate, il portone di legno sradicato e le stanze al piano terra cancellate. In compenso c’era come un baratro poco più avanti: un foro del diametro di una trentina di metri, forse di più, come fosse lo sbocco di un piccolo vulcano spento. I due compagni si guardarono intensamente, come se volessero silenziosamente comunicarsi che forse non valeva la pena scendere lì dentro. Forse sarebbe stato il caso tornare indietro e fare come Estellen e Stuard si erano raccomandati di comportarsi: ispezionare la zona ma senza interagire.
Tuttavia Aric era troppo curioso e non avvertiva alcun tipo di male o di minaccia in fondo a quella voragine. Kail sfiorò il medaglione con la mano e confermò silenziosamente le parole dello stregone. Pertanto tolse dallo zaino una lunga corda, la fissò in un punto che avrebbe sostenuto il loro peso e poi iniziò a calarsi di sotto. Aric lo seguì non senza difficoltà: quel dannato bastone lo impicciava non poco e non gli rese facile la discesa. Chissà se avesse un altro talento nascosto per situazioni come quelle.
Comunque alla fine entrambi misero i piedi sul terreno solido, a circa venti, venticinque metri sotto il livello della valle. L’unica fonte di luce laggiù era rappresentata da quella del bastone del mago.
Prima di ispezionare quel condotto e scoprire dove portasse, Kail fece segno col mento di guardare davanti a lui. C’erano dei profondi solchi intorno e sopra il cumulo di roccia e terra che saliva verso l’alto. Dei solchi come di artigli giganteschi e affilati!
Aric deglutì per l’ansia. Faticava a pronunciare “quella parola”, ma non gliene veniva un’altra in mente che potesse averli causati. Quando i due si spinsero avanti nella galleria, fino ad arrivare ad una caverna gigantesca, Aric ebbe conferma che “la parola” che tratteneva sulla punta della lingua era quella giusta: l’ombra in movimento, riflessa sulla parete, di un muso lungo e affusolato, dimostrò che si trattava proprio di un drago!
“Esso” non doveva essere particolarmente grande, forse di poco più grande del drago bianco che per un soffio non li aveva annientati il giorno prima, ma soltanto l’idea di vederlo, anche se di allineamento buono, faceva venire le farfalle nello stomaco ai due avventurieri. Kail ed Aric ci misero diversi secondi prima di decidersi ad entrare: quei giochi d’ombra sulla parete, da parte di quella testa di rettile enorme che si muoveva sinuosa, non li stava aiutando molto a dire il vero, ma alla fine si decisero e varcarono coraggiosamente la soglia.
“Io non lo farei se fossi in te, stregone…”
Gli parlò nella testa il bastone prima di fare l’ultimo passo, ma Aric scelse ancora una volta di ignorarlo.
All’interno della grande caverna c’era un bambino: proprio lo stesso fanciullo che il mago aveva conosciuto qualche ora prima. Egli sorrise all’arrivo dei due compagni, a dire il vero un po’ imbarazzati, visto che si aspettavano di trovare “qualcuno” o “qualcosa” completamente diverso da lui. Poi, con una vocetta stridula e acerba disse allegramente:
“Benvenuti, amici miei. Benvenuti nella tana del grande drago D’argent, da tempo scomparso, che combatté Takhisis insieme ad Huma durante la terza guerra dei draghi!”
Aric e Kail si guardarono intorno. La caverna vibrava di energia mistica, emanando in ogni dove un riflesso leggermente argentino. Aric fece un passo in avanti, ma il bimbo lo fermò subito con un gesto imperioso della mano.
“Non vi avvicinate oltre, Aric. Non è per voi, ma per l’oscurità che vi accompagna. Draghi e demoni non sono mai andati d’accordo e non mi fido molto di loro!”
Demoni? Lo stregone prese ad osservare esterrefatto la staffa.
“Questo… questo bastone.. è… è un demone?”
Pensò, farfugliando frasi sconnesse tra sé e sé. Questa rivelazione spiegava in effetti molte cose, sui suoi talenti e sulle abilità che possedeva. Solo non riusciva a capire come poteva essere successo che un semplice mago mortale, potesse esser riuscito a vincolare un demone di quel calibro ad un oggetto inanimato come quello che aveva tra le mani. La questione si faceva ancora più complicata evidentemente.
Comunque Aric si arrestò, spiegando i motivi per cui lui ed il suo amico avevano deciso di approfondire la questione legata alla "fonte mistica" che percepiva nella valle. Adesso aveva scoperto cosa fosse e non intendeva profanare oltre quel luogo con oscure presenze indesiderate. Il bimbo sorrise, poi aggiunse:
“Questa è stata la casa di D’argent per secoli, la sua stessa essenza si è fusa con questa caverna e non è un caso che voi, stregone, possiate provare una certa "affinità mistica" con essa. Anzi, vi invito a rammentarne la posizione, Aric, quando e se diverrete un "cronomante"… potrebbe essere una grande opportunità per voi. Per ripristinare i vostri poteri, per rinfrancare la vostra magia. Le cose non avvengono mai per caso, ormai ve ne sarete accorto…”
Lo stregone annuì, iniziando a riflettere sulla profondità e sull’ampiezza di quelle parole.
“Un luogo sicuro, di ristoro e rigenerazione…. interessante…”
Poi tornò a guardare il fanciullo che, dopo una breve pausa per sincerarsi che il mago avesse capito, tornò a parlare.
“So che il destino della vostra compagnia conduce lontano da qui, a Palanthas, ma io non posso aiutarvi, per quanto lo vorrei più di ogni altra cosa. I draghi metallici si stanno radunando: la notizia che la sacra forgia è stata riaperta si sta spargendo e presto saremo pronti. Non posso condurvi oltre il mare, ma posso suggerirvi una strada nascosta oltre la nebbia, se lo desiderate.”
Kail annuì in maniera decisa, sorpreso per quella soluzione inaspettata: se quella “creatura” avesse potuto garantire un modo per uscire dalla valle senza finire tra le mani degli orchi, sarebbe stata già una vera conquista.
“Proseguite dunque oltre la torre. Giunti alle sue spalle, nascosta dalla nebbia, c’è una ripida scala. Essa conduce dall’altra parte della montagna, fin dentro la foresta di “Elderwildwood”. Non che essa non sia piena di insidie e di rancori, ma per voi sarà molto meglio rischiare di incontrare gli elfi selvaggi che non uno sciame di orchi inferociti…”
Ancora una volta sia Kail che Aric si trovarono perfettamente d’accordo con lui.
In effetti il mezzelfo aveva visto scivolare via un sentiero appena visibile mentre ispezionava la torre, che la aggirava ad est fino ad intersecarsi con altri che puntavano dritti dietro il muro a nord, ma la nebbia e la fretta dello stregone non l’avevano spinto ad indagare con sufficiente perizia. Quindi tranquillizzò subito il mago, che si era girato a guardarlo per capire se avesse compreso a cosa il drago si riferisse.
“E’ un vero peccato che Lindaara non sia venuta con voi, mi sarebbe piaciuto parlare ancora con lei prima della sua prossima incarnazione, ma il destino ha voluto così e quindi così sia. Buona fortuna amici miei, ci rivedremo quasi certamente a Palanthas e che la luce di Paladine illumini sempre il vostro cammino!”
I due avventurieri fecero istintivamente un lieve inchino nei confronti del fanciullo, immobile al centro della caverna. Poi si voltarono e tornarono al condotto che riportava alla voragine e alla corda che li stava pazientemente attendendo.
Kail gettò distrattamente un occhio sul muro e, immancabile, il riflesso del muso di "Holy" sembrò salutarlo, augurandogli buona fortuna. Mentre risaliva la china, ed aiutava Aric a issarsi oltre i bordi del piccolo baratro, il mezzelfo fu consapevole che molto presto tutti loro ne avrebbe avuto un disperato bisogno.