Escol e Vanyl cavalcarono senza sosta, oltre ogni distanza. Oltre ogni sfinimento. Sapevano bene che i loro destrieri non avrebbero potuto reggere quei ritmi così serrati per molto tempo: erano grossi roani da combattimento, poco adatti a quel genere di rincorse senza quartiere. Infatti dopo quasi cinque ore di sgroppata furiosa, furono costretti ad abbandonarli perché ormai stremati. Ad Escol pianse il cuore doverlo fare, ma se c’era una speranza di poter salvare Liss, Wizimir e gli altri rimasti indietro, non c’era altra via che quella. I due compagni arrivarono a Rautar verso l’imbrunire e non fu difficile trovare una stalla che potesse vendergli due buoni cavalli, magari più avvezzi a questo genere di corse senza respiro. Il maneggio di Rautar era piccolo, ma ben tenuto e quando Escol arrivò e domandò del proprietario, uno dei garzoni, che stava riempendo di fieno gli alloggi dei destrieri, gli indicò un cortile esterno, poco distante. L’uomo, un Nordhmenn piuttosto alto, con lunghi capelli biondi e gli occhi color ghiaccio, lo accolse con un lieve inchino. A dire il vero lo squadrò un secondo di troppo e questo mise in allarme il figlio del Duca, che venne perciò subito al dunque. L’uomo lo portò immediatamente a vedere due puledri molto giovani e poco adatti al combattimento. Tuttavia specificò subito che se avevano fretta, come Escol aveva premesso, quelli erano i cavalli più veloci che possedeva. Poteva fidarsi su questo punto. Escol lo guardò socchiudendo gli occhi: non riusciva ancora a capire cosa ci fosse in quell’uomo che non gli quadrava. Poi però, quando parlarono del prezzo, lo comprese benissimo e non seppe se la cosa gli facesse piacere o meno. Egli infatti in mezzo a tante parole, aggiunse anche un segnale in codice che non vedeva da più di un anno: quello che indicava l’appartenenza all’Ordine! Escol non mostrò una reazione particolarmente entusiasta, non tanto almeno quanto il proprietario del maneggio si sarebbe aspettato. Purtroppo l’Ordine gli ricordava ancora troppo Andor, tuttavia lo ringraziò di cuore per avergli dato due ottimi puledri ad un prezzo davvero irrisorio. I due si salutarono con un cenno del capo e poi Escol e Vanyl tornarono sul sentiero diretti verso la capitale. Procedettero per un altro giorno e mezzo, quasi senza fermarsi mai, finché arrivarono ad un crocicchio dove le impronte che stavano seguendo si separavano. Un piccolo gruppo puntava a nord, mentre il resto continuava verso est, alla capitale dell’impero. Escol e l’Asura scesero da cavallo e insieme cercarono di capire quale fosse il gruppo che aveva Liss come prigioniera. Tuttavia fu impossibile intuirlo: entrambi i gruppi viaggiavano sia a cavallo che a piedi, ed entrambi avevano molti maghi tra i prigionieri. Vanyl scosse la testa e disse: “Non posso dirti di più, Escol. Verso Nord percepisco una grande magia elfica, mentre verso est un coacervo di magie differenti. Entrambe sono abbastanza vicine: se ci muoviamo in fretta, di sicuro potremmo intercettare in tempo uno dei due gruppi… ma mai entrambi!” Escol si maledì: forse Slanter sarebbe stato di grande aiuto in questa occasione. Il giovane guerriero strinse il pugno fino a sbiancare le nocche. Ancora non era il momento di rivelare ad Arios il nuovo potere che aveva acquisito nel Nexus, ma non aveva scelta. La vita di Liss, la sua stessa vita e di conseguenza anche il destino di Eord, dipendevano da questa decisione. Se avesse sbagliato, il piano che aveva in mente avrebbe rischiato di crollare, vanificando così ogni sforzo e ogni vita sacrificata per poterlo realizzare. Si alzò, si sistemò meglio l’elmo in testa e disse: “Io andrò a nord e tu a est. Dobbiamo per forza dividerci o rischieremo di perdere il vantaggio accumulato finora. Teniamoci in contatto con le pietre scure. Buona fortuna, amica mia!” Quindi voltò il cavallo e riprese la sua folle corsa contro il tempo. Dopo circa un altro giorno e mezzo di cavalcata sfrenata, al di sopra di un colle e con il sole alle spalle, Escol finalmente notò il convoglio di legionari, con al seguito una dozzina di prigionieri elfi, che cercava. Quando il figlio del Duca notò, imprecando contro sé stesso, che Liss non era con loro quasi ebbe l’istinto di tornare subito indietro, ma non poteva farlo. Gli elfi l’avevano accolto nella loro casa. Avevano dato un rifugio alla sua famiglia, avevano salvato i suoi amici nani. Avevano accettato perfino un Asura tra i loro maestri di magia, solo perché lui gliel’aveva chiesto. Più di una volta si voltò a guardarsi alle spalle, ma poi sospirò: non li avrebbe abbandonati al loro infausto destino! Iniziò dunque a scendere a valle, pensando ad un piano che potesse funzionare. Ma non c’erano piani che potesse approntare, strategie che potesse applicare, senza rischiare che qualcuno di quei soldati potesse fuggire ed avvertire i rinforzi. Inoltre un drappello di dodici legionari, più un’inquisitrice, sarebbero stati avversari estremamente difficili da battere. Soprattutto affrontandoli da solo e su un terreno aperto come quello. Non aveva altra scelta dunque: doveva usare la “Spada di Sangue”! Quando ebbe davanti a sé, a meno di trenta metri di distanza, il drappello di soldati, fermò il cavallo, afferrò la spada, che si tinse subito di rosso e chiuse gli occhi. Come si era aspettato, la lama senziente gli parlò: “Cosa vuoi che faccia?” Disse semplicemente, lasciandolo un pò perplesso. “Quello che fanno tutte le spade impugnate con rettitudine: bagnarsi del sangue del nemico e permettermi di liberare quegli innocenti.” Rispose di getto il figlio del Duca, saldo e determinato nel suo proposito. “Non esistono gli innocenti, ma se è il sangue che cerchi, allora combatterò per te.” Commentò la spada, provocando un groppo in gola e un senso di ansia tremenda al giovane guerriero. Quando riaprì gli occhi e tenne in alto la lama, Escol quasi non era più in sé. Una sensazione di eroico furore e di potere senza confini gli scorreva nel braccio. Un potere che però aveva un lato oscuro assai inquietante, di cui ne comprese l’ampiezza solo più tardi. Escol caricò il nemico come se dietro avesse un esercito di Nordhmenn inferociti e pronti a tutto e quando arrivò allo scontro diretto si rese conto che la sua forza era centuplicata! Sbaragliò i nemici con facilità, mentre la spada fendeva e tagliava: nessuna armatura poteva resisterle. Nessuno scudo poteva sopportare il suo filo! L’inquisitrice evocò un maestoso Elementale della Terra per cercare di contrastare quel guerriero solitario che combatteva come un demone. Sembrava come se “Il Terrore d’Argento” fosse ritornato dopo più di un anno di assenza! Presa dal panico, quando l’ultimo legionario crollò a terra esanime, l’inquisitrice spronò il cavallo e si diede alla fuga più velocemente possibile, ma Escol non aveva nessuna intenzione di lasciarla scappar via. La inseguì. la disarcionò e la uccise senza pietà. La lama sembrava proteggerlo dalla magia e tra i molti doni che aveva, c’era anche quello di guarire le ferite ricevute. Con lo scudo in pugno e l’armatura elfica, Escol adesso poteva reggere il confronto anche con un intero esercito. Quando però cercò di rinfoderarla, scoprì il perché nessun mortale avrebbe dovuto brandire un’arma del genere. La “Spada di Sangue” non voleva tornare a dormire, ed iniziò a suggerirgli, come un sussurro libidinoso, di prendersi prima le vite degli elfi. Di quegli stessi elfi che aveva giurato di salvare. Solo per un soffio riuscì a convincerla che il loro sangue e le loro vite non erano per lei, ma che ben presto ne avrebbe avuto decine, forse centinaia di altre con cui cibarsi, se avesse saputo aspettare qualche altro giorno. Un battito di ciglia, nell’eternità del suo sonno forzato. Fu difficile, ma alla fine Escol la spuntò e gli elfi vennero liberati. Il figlio del Duca recuperò l’Occhio di Arios dal corpo senza vita dell’inquisitrice. Poi andò a prendere i destrieri dei coscritti e dei legionari morti e aiutò gli elfi, stanchi, disperati e malnutriti, a salirci sopra. Notò che l’Elementale della Terra era svanito dopo che la sua evocatrice era morta e questo perlomeno lo risollevò un pò di morale: quelle creature erano sempre ostiche da affrontare, meglio evitare lo scontro quando possibile. Gli elfi lo ringraziarono, dicendo di tornare indietro, di non pensare a loro, ma Escol non accettò discussioni o compromessi: li avrebbe scortati al contingente di superstiti e poi sarebbe tornato alla capitale. Purtroppo non era stato fortunato nella scelta, ma aveva salvato delle vite, delle persone importanti e non le avrebbe abbandonate in mezzo al territorio imperiale, col rischio che venissero di nuovo catturate o uccise. Il figlio del Duca ci mise una settimana per tornare da Keira, oltre il bosco dove l’aveva incontrata. Non appena intravide i fuggiaschi, disse agli elfi di raggiungere il contingente e riportare un preciso messaggio al capitano: “lui e Vanyl si stavano occupando di Liss e lei l’avrebbe abbracciata tra meno di un mese. Questa era una promessa solenne!” Inoltre affidò ad uno di loro il seme di Melloton, che l’albero d’oro gli aveva regalato. Anche quello sarebbe dovuto andare in sua custodia. Dopo aver strabuzzato gli occhi alla vista di siffatta meraviglia gli elfi annuirono, rinvigoriti da un tale insperato miracolo. Dopodiché Escol tornò indietro, tagliando però direttamente verso sud est: in questo modo avrebbe ridotto il viaggio di almeno due giorni. Durante questo tempo ebbe modo di sentire Vanyl due volte. La prima volta l’Asur gli disse che Liss e Wizimir, oltre che a moltissimi elfi, nani e umani, erano stati condotti a Lauderskey. Lei si trovava in città, ma non aveva ancora trovato il modo di metter su un piano per liberarli. Escol le raccontò degli elfi che aveva salvato e la invitò a non fare cose avventate. Doveva attendere il suo arrivo, perché, una volta in città, non avrebbero agito da soli: c’erano un paio d’alleati che avrebbero potuto aiutarli. La seconda volta invece, il giorno prima che giungesse nella capitale dell’impero, Escol sentì Vanyl un pò diversa, nervosa forse, quasi preoccupata. Gli disse che era venuta a conoscenza di una cosa che non gli sarebbe affatto piaciuta: molto presto infatti Arios avrebbe preso in moglie una principessa Nordhmenn della casata Agdekson! Escol cercò di non mostrare all’Asur tutto il suo terrore e la sua disperazione, limitandosi a darle appuntamento l’indomani alla porta ovest della città. Durante la giornata che l’avrebbe portato a destinazione, il giovane guerriero mise a dura prova tutta la sua forza mentale e la sua determinazione. Sapeva bene che Liss era il suo punto debole, ce l’aveva scritto nell’anima: per questo, anche se ancora non conosceva la sua sorte, aveva lasciato il seme agli elfi. Tuttavia si dispiacque davvero per il destino che sarebbe presto calato come una falce sulla testa di suo figlio, che avrebbe dovuto combattere Arios al posto suo! Infatti, appena avesse incontrato Vanyl, avrebbe consegnato a lei la “Spada di Sangue”, con l’ordine di darla a Kail, mentre lui avrebbe fatto ad Arios un proposta che non avrebbe mai potuto rifiutare: “una vita per una vita”. Lui si sarebbe consegnato all’imperatore, in cambio del rilascio immediato ed incondizionato di Liss. Se l’imperatore maledetto non avesse accettato tali condizioni, avrebbe liberato il potere della “Spada di Sangue”, che avrebbe ucciso fino all’ultimo legionario e civile innocente dentro quella dannata città. Probabilmente l’imperatore a quel punto sarebbe fuggito e lui sarebbe divenuto per sempre  un mostro sanguinario, folle e senz’anima. Avrebbe vagato per le terre dimenticate senza una vita sua, senza più un futuro. Un assassino oscuro e maledetto, senza alcuna possibilità di redenzione. Il suo piano di liberare i Wraith attraverso i Vanyr sarebbe ricaduto su Kail, così come l’eliminazione di Arios. Ecco perché avrebbe chiesto a Vanyl di restargli vicino, di consigliarlo, di guidarlo, fino a quando i tempi sarebbero stati maturi. In entrambi i casi, il suo destino era segnato: morte o disonore. Quando si avvicinò ai cancelli, lo fece con atteggiamento dichiaratamente provocatorio. Inutile perdere tempo in sotterfugi: Arios sapeva che stava andando da lui e che presto sarebbe caduto nella sua rete, quindi perché aspettare? Escol minacciò di morte immediata tutti quelli che l’avrebbero ostacolato, ma stranamente nessuno osò sfoderare una spada. Lo fecero passare come se si aspettassero la sua venuta. Il giovane guerriero scosse la testa affranto: se i legionari sapevano del suo arrivo, voleva dire che non era stata Vanyl a contattarlo. Perlomeno non era stata lei la seconda volta. Era stato appositamente provocato, spronato a reagire con la storia del matrimonio, ma questo non cambiava le cose. Anzi. Sapere che anche l’Asur era prigioniera, spingeva Escol ancor più verso il baratro. Ogni cosa ormai camminava sul filo di un rasoio. Intercettò un ufficiale imperiale e gli disse di recarsi immediatamente dall’imperatore a riportare che Escol di Berge gli proponeva un accordo. “La sua vita per quella di Liss Agdekson”. Chiaro e semplice. Se non avesse accettato, lui sarebbe andato a prenderlo e in molti, moltissimi sarebbero morti inutilmente. All'inizio l’imperiale sorrideva, scambiando le parole di Escol per vacue minacce, ma quando lo guardò negli occhi più a fondo, scorse qualcosa. Un potere antico, una fame atavica. Fame di sangue e vita! Si inchinò e si allontanò, promettendo di riportare fedelmente il messaggio. La cosa assai strana fu che nessuno sembrava tenerlo sott’occhio o circondarlo come si era aspettato, tanto che quando si sentì afferrare per un braccio quasi fu sollevato. Ma non si trattava di una guardia o un legionario che tentava di bloccarlo, ma di un volto amico che non vedeva oramai da molto tempo. Eofaulf lo abbracciò d’istinto, ed Escol ricambiò l’abbraccio con foga ed affetto! “La situazione si mette male, Escol. Anche la tua amica Asura è stata catturata e portata nelle segrete insieme a Wizimir. Tuo padre è ancora vivo e se intendi liberarli tutti, devi fidarti di noi. Abbiamo un piano.” Quando Escol incontrò Alarien, l’elfa gli saltò al collo e lui la strinse forte quasi a stritolarla. Il giovane guerriero espose per primo le sue temerarie intenzioni ai suoi amici, ma entrambi non si mostrarono affatto d’accordo ad un suo prematuro sacrificio. Forse c’era un modo per entrare nella cittadella e da lì recarsi alle segrete per liberare i prigionieri, ma doveva fidarsi di loro. Escol non poteva abbandonare Liss al suo destino, ma nemmeno poteva lasciare i suoi amici ad una fine ignobile in prigione o ad un’esecuzione sommaria per ordine di quel verme schifoso dell’imperatore! Donò “Enwel” ad Alarien e raccontò ad entrambi ogni cosa sulla “Spada di Sangue”. Sia Eofaulf che l’elfa deglutirono per il nervoso: se la metà delle cose che diceva quell’uomo erano vere, quella spada poteva fare a pezzi ogni cosa, ma al punto tale di non saper distinguere più l’amico dal nemico, il bene dal male. Se Escol l’avesse innescata, non era affatto sicuro che qualcuno si sarebbe salvato su Eord. Ecco perché il loro piano doveva funzionare. Ecco perché, a malincuore, si augurarono che, a mali estremi, l’offerta del giovane guerriero “della vita per una vita” sarebbe stata accettata da Arios! L’alternativa poteva essere ben peggiore di Arios stesso.