Era quasi l’ora di pranzo quando la compagnia arrivò a Hopastoya, l’ultimo avamposto imperiale prima di scontrarsi con le centinaia di miglia di terreno aperto e pianeggiante che avrebbero condotto alle Terre Misteriose. Anche questa cittadella era senza mura di cinta e viveva di caccia e commercio e ciò che era necessario per permettere ad una piccola comunità di sopravvivere ai rigidi inverni senza troppe difficoltà. Escol divise subito i compiti: lui e Stee avrebbero trovato una locanda disponibile (non che ci fosse tutta questa scelta), mentre Slanter, Vanyl e Aelion, avrebbero portato il carro nella stalla e si sarebbero preoccupati di riempirlo con provviste per almeno un mese di viaggio. L’oste, un tipo rude, sulla cinquantina, accontentò volentieri il giovane guerriero, fornendogli le due stanze che aveva richiesto: una per lui e Vanyl, l’altra per il resto dei suoi compagni e la promessa di un pasto caldo. Escol, insieme all’Asur, si accomodò in un tavolo d’angolo. Dopo una mezz'ora il resto del gruppo si unì a loro e malgrado fosse un pò tardi, l’oste, oliato da una generosa mancia, fece loro comunque un buon pranzo con ciò che avanzava dalle cucine. La birra si rivelò ottima, il pasto caldo e saporito. Memore del consiglio di Wizimir, Escol stava dando l’ordine di ritirarsi nelle proprie stanze subito dopo aver desinato per farsi vedere in giro il meno possibile, quando captò, tra fumo e chiasso, un frammento di conversazione molto interessante: “L’enclave degli elfi non ha scampo!” Nella taverna non c’erano tanti avventori, ma quei pochi che erano seduti ai tavoli facevano davvero un gran baccano. Tuttavia, due tavoli più in là rispetto al loro, proprio dietro al bancone, Escol notò un tipo parecchio interessante. Uno di quelli che poteva aver detto una cosa del genere. Si trattava di un uomo non più giovanissimo, che indossava delle vesti ocra ed oro, con le insegne imperiali cucite sul petto. Il figlio del Duca ne parlò subito con Stee, il quale gli confermò che quell’uomo era un pezzo grosso dei servizi segreti dell’imperatore. Era molto strano che si trovasse così lontano dalle zone nevralgiche imperiali. A meno che fosse una cosa voluta. Escol domandò al generale se poteva provare a parlare con lui, facendo leva sulla sua fama, ma Stee scrollò le spalle, dicendo che dopo aver tentato di uccidere Arios, quell’uomo avrebbe dovuto provare ad arrestarlo immediatamente e che quindi sarebbe morto nel tentativo. A quel punto la loro copertura sarebbe certamente saltata. Escol si grattò pensosamente il filo di barba che gli era ricresciuta, poi chiese a Vanyl se poteva usare la magia per leggergli la mente. Tuttavia l’asur scosse la testa, indicandogli con il mento l’oggetto che quell’uomo portava sulla spalla sinistra. Si trattava di un ’Occhio di Arios! Il mistico rilevatore di magia elfica che tutti gli inquisitori portavano con sé durante i loro spostamenti. Fortunatamente quello non era un inquisitore, ma se si trovava in quell’angolo dimenticato dai Paradine, un motivo doveva pur esserci! Era meglio non rischiare con le maniere troppo dirette. Purtroppo però non esistevano molti altri modi per approcciare con lui senza destare sospetti, ed apprendere cosa intendesse con la sua esclamazione di poco prima era a dir poco fondamentale. L’occasione si presentò qualche ora dopo, verso il tardo pomeriggio, quando l’uomo si scusò con gli astanti perché doveva espletare un bisogno fisiologico. Pertanto si alzò ed uscì, raggiungendo la latrina pubblica. Deciso a giocarsi il tutto per tutto, Escol lo seguì. Attese che l’uomo finì e poi lo intercettò prima che rientrasse nella locanda. “Scusatemi se mi permetto di importunarvi, mio signore, ma non ho potuto non udire una frase piuttosto allarmante mentre eravamo nella locanda, che vi chiederei di potermi spiegare meglio. Se per voi non fosse troppa offesa.” Esordì Escol, pronto a tutto. Questo sarebbe stato il posto migliore per far sparire un cadavere, se fosse stato necessario. Ma l’uomo si mostrò più che disposto a raccontargli a cosa si riferisse. Disse di chiamarsi Marius e di essere esattamente ciò che le sue insegne mostravano che fosse. Tuttavia, insistette affinché loro due potessero parlarne di fronte a un buon boccale di birra e non in mezzo ad una strada, ed Escol non ebbe altra scelta che acconsentire. I due raggiunsero tosto il tavolo di Marius, si sedettero, ed iniziarono a parlare amichevolmente. Escol si presentò a lui come Malcom, un mercenario a capo di un gruppo che scortava un mercante locale che doveva raggiungere Rautar, una città drammaticamente troppo vicino all’Enclave elfica. Questo era il motivo della sua ansia. Marius annuì, spiegando che la “Settima Legione”, la più terribile e crudele di tutte le legioni imperiali, si stava spostando dai territori delle Terre Selvagge per raggiungere l’avamposto elfico. Escol aggrottò le sopracciglia, fingendo dubbi e perplessità circa le conseguenze che questo spostamento di truppe significasse per i suoi scopi e Marius non faticò a spiegarglielo con più chiarezza. Dopo la ribellione di un anno prima, per punire il Ducato Berge, quello Mundison e il principato di Mohdi, l’imperatore inviò la “Settima Legione” per radere al suolo le terre di coloro che lo avevano offeso. Ora che la stava spostando a sud, poteva significare una cosa sola: morte! Morte e distruzione per gli elfi e gli altri profughi dell’Enclave. Quel luogo era spacciato! Così come tutta l’area limitrofa sarebbe diventata molto pericolosa. Escol annuì, mostrando di aver capito adesso. La conversazione andò avanti quasi fino a cena, dove entrambi gli interlocutori, come in una partita di scacchi, cercavano di carpire l’un l’altro più informazioni possibile. Escol riuscì a scoprire che la casata di Keira, gli Agdekson nelle Terre Selvagge, non era stata toccata dall’ira di Arios, mentre di sicuro Marius aveva scoperto che, grazie all’Occhio di Arios, Aelion e forse Vanyl, stavano camuffando il loro vero aspetto con oggetti magici elfici. Quindi che era molto probabile che dietro quel “gruppo di mercenari” ci fosse qualcosa che non quadrava. Marius fece di tutto per far passare una visione di lui che lo ritraesse come un liberale. Funzionario dell’impero si, ma non necessariamente asservito all’imperatore. Escol invece cercò di nascondere anche quello, sforzandosi il più possibile di passare davvero per chi diceva di essere. Prima che il figlio del Duca potesse tornare al suo tavolo, Marius gli fece una inaspettata proposta di lavoro. Quando aveva finito di scortare il mercante a Rautar, gli offrì di recarsi con lui a nord come sua scorta personale, nelle terre patronate dal generale Astarte! Escol non poté non trasalire. Era convinto che il generale fosse stato trucidato da Arios dopo il suo tradimento. Eppure Marius confermò che il grande condottiero era vivo e vegeto e ancora a capo delle truppe a nord dell’impero! In effetti aveva senso: ad Arios non sarebbe convenuto uccidere Astarte. La sua fama era essenziale per lui, per unire le truppe, per galvanizzare gli animi. Non avrebbe mai commesso un errore tattico così importante. Però poteva essere che aveva salvato il suo nome, ma che avesse sostituito, ad insaputa di tutti, la persona. Sarebbe bastato uno di quei “mutaforma”, per esempio. Poteva essere interessante indagare. Escol accettò un appuntamento con lui, in questo stesso villaggio, il mese successivo per parlarne meglio. Quindi si alzò, ringraziò il suo ospite e tornò finalmente al suo tavolo. Marius lo salutò con una formula rituale molto antica, andata perduta nell’uso corrente dell’impero: “Onore a te, giovane guerriero. Possano i Paradine vegliare sul tuo sonno.” Perplesso, Escol si sedette al suo posto. Il primo con cui parlò fu Stee, che sembrò parecchio turbato dalla notizia che la “Settima Legione” si stesse spostando a sud, verso l’Enclave. Lui era stato generale proprio della “Settima” in passato e nei suoi occhi Escol lesse chiaramente che temeva per la gente che si sarebbe dovuta difendere da essa. Nessuno sarebbe sopravvissuto. Non mostrò consigli per il giovane Berge, solo che avrebbe preferito rimanere laggiù a combattere e a salvare più innocenti possibile, perché i legionari non avrebbero avuto nei loro confronti né pietà e né rimorso. Poi, dopo aver mangiato qualcosa per cena, Escol invitò tutti ad andare a riposare, poiché il giorno dopo sarebbero partiti molto presto. Prima di salire però, notò che Marius stava vergando una pergamena e giusto un momento prima che potesse chiederglielo, Vanyl gli riportò ciò che egli stava scrivendo: l’asur non poteva usare la magia, ma sapeva leggere bene e anche a distanza i movimenti di una piuma d’oca su un foglio di pergamena. In pratica si trattava solo di note sul loro incontro appena terminato e sul prossimo appuntamento stabilito per il mese successivo: l’aveva definito: “un giovane davvero interessante”. Era dunque probabile che fossero stati scoperti o comunque, che su di loro aleggiassero parecchi fondati sospetti. Motivo per andarsene da lì il prima possibile. Escol e Vanyl si ritirarono subito nelle loro stanze, così come fecero gli altri, con Aelion che ringraziò il figlio del Duca per non averlo messo nella stanza con l’asur. Forse fu a causa dell’ansia della conversazione con Marius, ma il giovane guerriero non dormì affatto bene quella notte. Un incubo terribile lo ghermì nelle prime ore del mattino, quando vide, tra veglia e sonno, Vanyl, completamente nuda, che si avvicinava a lui e lo mordeva avidamente al collo! Il figlio del Duca si destò, completamente madido di sudore. Vanyl era ancora a letto, immobile. Consapevole che non si sarebbe mai addormentato di nuovo, si rivestì e andò a fare due passi al fresco del mattino. Era ancora buio fuori, solo si vedevano le fioche luci delle fiaccole accese nelle case limitrofe. Eppure il sesto senso di Escol lo avvisò subito che non era solo in quei vicoli: qualcuno lo stava spiando! Un’ombra scura infatti si palesò per un momento nei pressi di un’abitazione lì vicino, per poi sparire e fondersi con l’oscurità che avvolgeva ogni cosa. Il figlio del Duca provò ad indagare, ma senza Slanter era impossibile: troppe tracce confuse sulla terra per ricavarne una pista. Preferì dunque rientrare e provare a riposare un paio d’ore prima di ripartire. Così fece. Escol tornò nella sua camera, controllò per scrupolo Vanyl, che sembrava dormire tranquillamente e si mise a letto. Prima dell’alba il giovane guerriero si destò, notando che l’asur si stava già preparando. Le chiese allora di aiutarlo ad indossare l’armatura e con quella scusa, provò a condividere con lei lo strano incubo che aveva fatto qualche ora prima. Vanyl inarcò un sopracciglio, spiegando che l’usanza di nutrirsi del sangue e della carne degli uomini era ormai andata perduta tra gli asura e che comunque non era mai stato un “talento” ad appannaggio di tutti. Di lei si però, così come di Atreus suo padre, anche se non aveva mai sperimentato queste “antiche e feroci usanze” sugli umani. Il significato che avesse il suo sogno pertanto, sfuggiva alla sua comprensione. Escol evitò di parlarle della sua “prescienza”, limitandosi a riflettere sul fatto che la visione che aveva avuto poteva non essere letterale. Magari poteva significare che Vanyl l’avrebbe tradito. Chi poteva dirlo? Comunque, dopo una frugale colazione, il gruppo ripartì: aspettava a tutti un viaggio di almeno un paio di settimane, forse di più, prima di arrivare al confine con le Terre Misteriose, ma il nano confidava che perlomeno non avrebbero incontrato ostacoli lungo il cammino. Durante il tragitto, Escol ne approfittò per avvertire Wizimir dell’arrivo della “Settima Legione” e quindi degli intenti di Arios di spazzar via l’Enclave degli Elfi entro uno o due mesi. Ovviamente il mago commentò che Volker sarebbe rimasto a combattere, ma di sciuro i suoi maghi avrebbero provato a trasportare nelle Terre Selvagge degli elfi più profughi possibile. Inutile dire che anche la Guardia Nera sarebbe rimasta a difendere l’albero sacro, ma essendo quello l’obiettivo di Arios, Escol spronò l’amico mago a convincere i guardiani a distruggerlo piuttosto che a lasciarlo cadere nelle mani dell’imperatore maledetto. Wizimir spiegò che essi avrebbero potuto solo cercare di “convincerlo” a morire, poiché l’albero era senziente e praticamente indistruttibile e che quindi il risultato non era certo. Dipendeva dall’albero stesso. Per quel che riguardava lui, lo stregone mezzo asur aveva dato la sua parola che sarebbe rimasto a combattere, dopo aver messo al sicuro Liss e Keira, ma Escol insistette parecchio che cambiasse idea su questo punto. Volker avrebbe dovuto resistere ed attendere il suo ritorno, perché egli avrebbe potuto disporre di una risorsa importante che forse avrebbe ribaltato la situazione. Purtroppo quella sarebbe stata l’ultima comunicazione tra loro, poiché nelle Terre Misteriose la magia elfica faceva fatica a penetrare. Si fecero dunque i migliori auguri a vicenda e si prepararono per le loro rispettive ordalie.