Scendendo da cavallo, memore degli avvertimenti del nano, il giovane guerriero si sporse quanto bastava per assicurarsi che ciò che aveva intravisto, prima di voltare l’ansa del fiume, rispondesse a verità. In effetti, ebbe subito la riprova di quanto aveva sospettato e temuto: un temibile Okar pattugliava la via per passare oltre il ponte! Escol si nascose dietro una grande roccia e decise il da farsi in pochi istanti: sfoderò dunque il suo spadone e liberò il cavallo per attirare l’Okar. La grossa ed inquietante creatura, dall’aspetto massiccio e cresposo come la corteccia di un albero, avanzò a passo lento verso il bianco destriero, che, sebbene addestrato, ne percepì la vicinanza ed iniziò ad innervosirsi. Tuttavia il puledro non ebbe tempo di preoccuparsi troppo, poiché il figlio del Duca uscì come una furia con l’arma spianata e menò un terribile fendente contro il suo inconsapevole avversario. L’ Okar barcollò, cercando di sfoderare la sua temibile mazza e ribattere il colpo ricevuto, ma non ci riuscì. Lo spadone di Escol fendeva l’aria e le carni del suo avversario, fischiando e sussurrando, ad ogni affondo, parole di morte. L’Okar urlò, cercando di fuggire oltre il ponte ma un ultimo colpo ben assestato da parte del giovane guerriero gli fece perdere i sensi e lo fece crollare a terra esanime. Il figlio del Duca a quel punto si guardò bene dall’abbassare la guardia, trascinando prudentemente il corpo del suo nemico dietro le rocce. E mai decisione  presa fu tanto saggia in tutta la sua vita: infatti un secondo Okar era sopraggiunto, questa volta però mazza alla mano. Richiamato dalle grida del suo compagno, l’Okar superò il ponte e immediatamente vide le tracce di sangue ed il cavallo di Escol poco distante, ma nemmeno la seconda creatura era preparata alla sua furia. Di nuovo uscendo dal suo nascondiglio come un uragano, il giovane guerriero fece roteare in maniera perfetta il suo spadone che non diede scampo al suo avversario, uccidendolo sul colpo. Ancora una volta, Escol ripulì il sentiero del corpo dell’Okar, nascondendolo accanto all’altro. Poi, vinto da un rimorso di coscienza, si sincerò che il primo avversario fosse ancora vivo. Il senso di misericordia che gli aveva instillato sua madre venne di nuovo fuori e lo portò a fermare l’emorragia che stava lentamente uccidendo il suo nemico. Tuttavia lo sguardo dell’Okar non fu né riconoscente, né grato per avergli salvato la vita. Gli occhi della creatura erano anzi colmi d’odio e di rancore nei suoi confronti. Escol gli domandò se erano soli nel territorio e il suo avversario, dopo aver notato che il suo compagno era stato ucciso, rispose sprezzantemente di si. Il figlio del Duca annuì, poi gli fece dono di due razioni di provviste ed un piccolo coltello. Gli disse di tenersi lontano dai sentieri principali come quello e di tornarsene a casa e non razziare più in questi territori.Quindi afferrò le redini del cavallo e si accinse a passare il ponte. Egli aveva intravisto poco prima un filo di fumo provenire da una piccola radura poco distante e ritenne che fosse il luogo ove gli Okar si erano accampati per la notte. Tuttavia, più si avvicinava alla radura, più c’era qualcosa che non gli quadrava. C'era qualcuno ancora, ben nascosto dai cespugli e dalle fronde degli alberi. Escol fece allontanare di qualche metro il suo destriero, poi sguainò di nuovo lo spadone. Cautamente si sporse quel tanto che bastava per guardare meglio nella rientranza e ciò che vide non gli piacque affatto. Un terzo Okar era seduto su un tronco di legno a mangiare sudiciamente della carne e, poco distante da lui, giaceva un prigioniero o una prigioniera con i polsi legati. La rabbia crebbe come un’onda nel cuore del figlio del Duca, che, ingenuamente, aveva creduto alle subdole parole dell’Okar, salvandolo da morte certa. Quando ritenne di poter agire per primo, fece irruzione nella radura e, ancora una volta, abbatté la propria lunga e pesante lama di acciaio temprato sul torace dell’Okar. La creatura, seppur massiccia e coriacea, non riuscì a resistere al suo impeto. Provò a rispondere, ma il timido attacco che offrì fu troppo debole per Escol che lo finì senza pietà questa volta. Poi il giovane guerriero si voltò verso il prigioniero, scoprendo che non solo si trattava di una femmina, ma che costei era anche un’elfa, la cui bellezza rivaleggiava con quella delle stelle e della luna. Egli si apprestò a liberarla e si assicurò che non fosse ferita o avesse subito violenza di alcun tipo. Poi i due parlarono un po ', condividendo il cibo e l’acqua del figlio del Duca. L’elfa, che disse di chiamarsi Enwel, era stata catturata dagli Okar proprio durante lo scontro che avevano avuto con la Coalizione nel territorio di Shararakinb. Nonostante le forze alleate avessero schiacciato il nemico, alcuni piccoli gruppi di Okar erano sopravvissuti e l’avevano catturata per portarla nei loro territori per essere venduta come schiava. L’odio dell’elfa contro di quelle disgustose creature poteva esser letto nei suoi occhi limpidi come l’acqua. Escol si sentiva felice per averla aiutata, le domandò perfino di andare con lui, almeno fino alla città di Barakhazdus. L’elfa di rimando sembrava guardarlo in maniera strana. Ammise di essere una guaritrice e di rivestire questo compito anche sul campo di battaglia, ma sottolineò che doveva tornare dalla sua gente. Il giovane figlio del Duca non amava l’idea di lasciarla andare da sola e si offrì perlomeno di accompagnarla fin dove avesse potuto prenderle un cavallo, per permetterle di muoversi più agilmente ed in maniera più sicura. In fondo, il vecchio nano mercante non poteva essersi allontanato di molto. Escol proponeva mille soluzioni ad Enwel, ma l’elfa sembrava volesse solo riposare: sembrava sfinita. Tuttavia, prima di coricarsi accanto al fuoco, volle fargli un regalo per averle salvato la vita. Si trattava di un ciondolo, di inestimabile valore, soprattutto spirituale. Attraverso quell’artefatto, meraviglioso ed unico, lei sarebbe rimasta vicina a lui e gli avrebbe ricordato la sua gratitudine per tutto il resto della sua vita. Più che parole di amicizia e sincera gratitudine, era parso ad Escol un discorso d’addio, di definitivo commiato. Un pò turbato, il giovane si mise di guardia, sonnecchiando appena durante la notte. Quando l’alba arrivò e la luce del giorno iniziò a illuminare ogni cosa, il guerriero si destò, avvicinandosi all’elfa per svegliarla gentilmente. Purtroppo però scoprì amaramente che ella aveva smesso di vivere. Incredibilmente, aveva lasciato per sempre  le sue spoglie mortali, facendo sprofondare il giovane Berge nella disperazione più assoluta. Nonostante tutti i suoi tentativi, non ci fu niente da fare: Enwel era morta e a lui non restò che seppellirla. Nemmeno era iniziato, ed il suo viaggio gli aveva portato nel cuore già dolore e sofferenza infinita.